“Testa di Pan; Lorenzo, Michelangelo, Attila e il prototipo perduto di una placchetta”.

Traduzione italiana a cura di Alessandro Ubertazzi del testo “Head of Pan; Lorenzo, Michelangelo, Attila and a lost plaquette prototype” di Michael Riddick.

Il prototipo e le placchette fuse della Testa di Pan.

Questo articolo si riferisce alla scoperta di un cristallo di rocca inciso, creduto perso, che è stato il modello delle placchette in bronzo che rappresentano la “Testa di Pan” conosciute attraverso una quantità di fusioni realizzate nell’ultimo quarto del XV secolo.

La scoperta di artefatti un tempo utilizzati per la fusione di placchette non è certo un evento insolito. Nel 2007 John Boardman e il suo team hanno infatti trovato presso l’archivio Beazley (Universitá di Oxford) l’antico cammeo, ritenuto perso, che rappresentava “Cerere e Trittolemo” e che era servito come matrice per una serie di placchette fuse al tempo in cui era posseduto da Pietro Barbo (1417-1471) alla metá del XV secolo e, poco piú tardi, divenuto di proprietà di Lorenzo de’ Medici (1449-1492) (1). Il cammeo era stato scoperto in una collezione privata di Londra (2).Analogamente, anche il cristallo di rocca inciso con la Testa di Pan, è stato scoperto a Londra. In realtà, una attendibile ragione perché questi oggetti creduti persi fossero situati nel contesto londinese, dipende dal fatto che le ultime grandi collezioni di manufatti glitticci avevano trovato il loro zenit durante i periodi barocco e vittoriano inglesi e, solo piú tardi, sono state disperse in vari musei e collezioni private.

Il cristallo in questione è montato entro una cornice-gioiello, probabilmente di origine italiana (3), realizzata attorno al 1700.

La riflessione dei primi studiosi concernente l’origine della placchetta Testa di Pan aveva portato alla convinzione che i cammei riferibili ad essa, fossero due.

Emilio Molinier, per primo, aveva notato un “Busto di Pan” di corniola situato presso il Cabinet du Roi (4) a Parigi mentre Francesco Rossi aveva parlato di un cammeo di “Faunus Ficarius” conservato al Kunsthistorisches Museum di Vienna (5). In seguito, entrambi questi oggetti sono stati invece considerati come creazioni derivate dall’immagine diffusa da quella placchetta e delle sue successive riedizioni.

La prima correlazione del cristallo di rocca in questione con la placchetta, si trova sul catalogo stilato da Jeremy Warron nel 2014 concernente la collezione di placchette dell’Ashmolean Museum: in esso si ipotizzava che il suddetto cristallo di rocca avrebbe potuto essere riferito all’immagine riportata dalle placchette (6). Tuttavia, la piccola riproduzione fotografica del cristallo collegata alla citazione riportata sul catalogo di Sotheby’s (7), erano insufficienti a trarre conclusioni definitive.

Questo Autore formula qui la ferma conclusione che, in realtà, il cristallo è il prototipo dal quale sono derivate le placchette.

Il cristallo [in questione] è intagliato con superba precisione, delicatezza di tratto e una incantevole vitalità. Il cristallo è lucidato su entrambe le facce con un retro piano e un fronte convesso. A parte una insignificante e successiva scalfittura lungo la linea inferiore della mascella del soggetto, non riprodotta nelle placchette, il cristallo conserva la stessa meravigliosa bellezza (che, probabilmente, aveva il giorno in cui esso è stato realizzato) e l’elevata qualitá tipica di questi ambíti oggetti di culto.

Conferma di tale ruolo di prototipo [che il cristallo ha avuto] per le placchette in bronzo sono la sua dimensione coincidente (fig. 01), lo spessore del rilievo (fig. 02) e la corrispondenza di ogni minimo dettaglio.

Il cristallo di rocca [in questione] misura 45×34 mm mentre, nelle migliori fusioni, le placchette condividono sostanzialmente queste dimensioni ridotte di circa un millimetro a causa del materiale (presumibilmente cera, stucco o argilla) usato per prenderne l’impronta.

Due delle migliori versioni pubblicate della placchetta Testa di Pan sono state identificate nella collezione di Mario Scaglia (8) e una, precedentemente, presso il commerciante Cyril Humphris (9).

Se osservato da dietro, cioé con il profilo del personaggio girato di sotto, il cristallo [in questione] è realmente commisurato alla placchetta (fig. 03).

Per un ulteriore confronto visivo, questo Autore ha sovrapposto una superficie color bronzo alla gemma e l’ha confrontata con l’esemplare della collezione Scaglia.

Come si puó ben osservare, le delicate ciocche di capelli che fluiscono dalla testa, sono riprodotte con estrema precisione sulla placchetta (fig. 04).

La linee delicatamente incise delle corna di Pan e una piccola dentellatura lungo il lobo dell’orecchio sono anch’esse riprodotte esattamente; i solchi dei capelli nonché una sottile porzione dei peli facciali e, a sinistra, dei baffi sono fedelmente rispecchiate nella placchetta.

Inoltre la texture della nebris (cioé della pelle di cerbiatto annodata al collo per le gambe dell’animale i cui zoccoli terminano al margine del cristallo) è riprodotta nello stesso modo nella placchetta.

Nell’esemplare Humphris possiamo osservare come anche i denti di Pan siano ben riprodotti e il volto sia modellato con contorni sincroni (fig. 05).

Una variante fra il cristallo in questione e le due placchette citate consiste nell’apparente aggiunta di una ciocca di capelli fra la base del corno inferiore e la punta dell’orecchio (fig. 06). Tuttavia, tale differenza dipende da una ciocca aggiunta che divide quello che, altrimenti, sarebbe un blocco compatto di capelli come si osserva sul cristallo. Questa variante è particolarmente evidente negli esempi citati, nonché nella bella fusione che si trova nel Museo Civico di Brescia.

Questo Autore ipotizza che il fatto potrebbe essere dipeso da un colpo [ricevuto] o da un difetto che si è verificato durante la rimozione del calco dal cristallo o durante la preparazione del calco per la fusione: peraltro, questa sembra l’unica caratteristica che distingue le piú fini placchette fuse dal cristallo. Lo spazio interposto fra le due ciocche di capelli esaminati nella zona appena accennata è ampio (fig. 06). Nella rappresentazione fotografica del cristallo questo spazio appare piú ampio di quello delle placchette ma tale margine si riduce sensibilmente quando si effettua un calco del cristallo (fig. 07). Questa zona incisa del cristallo si trova nella porzione piú scavata e piú profonda di uno o due millimetri rispetto alla sua superficie. Mentre la foto del cristallo da rovescio riporta adeguatamente la caratteristica della placchetta, ci sono delle qualitá che non sono riproducibili da questo metodo di studio; pertanto, per il confronto con le placchette fuse, si è dimostrato utile un collegamento con il calco diretto fatto dal cristallo.

Il difetto, di cui si è detto precedentemente (che interrompe la ciocca di capelli come è stato osservato nei tre esemplari suddetti) non puó essere riscontrato in altri esemplari quali quello del Museo del Bargello o quello del Museo Civico di Brescia.

Il difetto non appare neppure nella variante piú tarda nella quale è stata aggiunta una inscrizione (Rossi 2011, variante c) che deve ancora essere presa in considerazione. In questi altri esemplari, la ciocca dei capelli è continua e corrisponde con precisione al cristallo di rocca inciso.

Le differenze fra le tre inizialmente conosciute e questi ulteriori altri esemplari suggerisce, pertanto, almeno due varianti nella produzione delle prime placchette fuse.

Rossi ha fatto questa stessa osservazione e ha identificato una variante A per sancire una distinzione fra le due versioni delle prime fusioni derivate di questo tipo.

La variante B di Rossi (15) rappresenta invece una fusione  successiva al tipo originale nella quale è aggiunto un rilievo al suo rovescio, riproducendo altre immagini di soggetto classico. Per esempio, un busto di donna derivato dall’antico (16) si riscontra su due esemplari di tale variante nonché nell’antica riproduzione di una composizione di Valerio Belli (1470-1546) su un’altra (17).

In questa successiva variante B, la placchetta assume la funzionalità apparente di una medaglia; un esemplare come questo sembra sia servito come modello per uno smalto dipinto da Jean Penicaud II alla metá del XVI secolo che rappresenta la Testa di Pan assieme al busto antico di una donna (fig. 08).

Un’altra variante successiva rispetto al tipo originale aggiunge l’iscrizione ATILA FLAGELLUM DEI (variante C di Rossi; fig. 09 a sx) (18) entro il margine interno della placchetta; probabilmente, questa è stata effettuata qualche tempo dopo aver associato il rilievo ad Attila, a partire dagli ultimi anni del XV secolo; tale questione è da approfondire.

Un derivato ancora piú tardo di questo tipo è chiamato da Rossi variante D (fig. 08 a dx) (19) che riproduce una versione piú debole della fusione con l’aggiunta di una flangia rettangolare e un appiccagnolo fuso assieme.

Un’altra variante unica del tipo Attila, non conosciuta da Rossi, corrisponde all’esemplare che si trova nella collezione Ubertazzi: questa riproduce la Testa di Pan sul fronte  ma sul retro è inciso ATTILLA REX SCITARVM (Attila Re degli Sciti) (20).

Una ipotesi concernente la presenza del cristallo presso Lorenzo de’ Medici.

Per la produzione delle placchette Testa di Pan, gli storici hanno espresso una datazione all’ultimo quarto del XV secolo, soprattutto per la sua comparsa su un medaglione di pietra nella Cattedrale di Pavia, ipotizzando che le placchette dovevano avere giá una certa circolazione prima della realizzazione di quel medaglione.

Peraltro, la Testa di Pan è stata considerata fra le placchette derivate da un soggetto antico, cioè riprodotte tramite le gemme classiche o ispirate alla classicità. Questa “antica” placchetta costituisce peraltro una delle prime esemplificazioni di questi piccoli rilievi, che ha riscontrato una produzione regolare giá a partire dalla prima decade del XVI secolo (21).

Se è confermata un’assegnazione all’ultimo quarto del XV secolo, vi sono poche possibilità che calchi delle placchette siano stati ragionevolmente effettuati in quel periodo.

Sebbene non sia certo, le piú probabili opzioni comportano una loro origine o nella fonderia romana, presso il Palazzo di San Marco (oggi Palazzo Venezia) di Pietro Barbo, noto per aver commissionato diverse placchette tratte dalle celebri gemme della sua collezione, o presso l’Accademia informale di Bertoldo di Giovanni nei giardini di San Marco dei Medici a Firenze.

Se è quella la data riconosciuta per questa placchetta, considerando la data della scomparsa del Barbo (1472) e osservando anche la produzione romana avviata del Barbo attorno al 1450 (22), la origine fiorentina appare piú probabile.

L’incarico di realizzare placchette nel tardivo ambito di Donatello (1386-1466), i cui ultimi progetti in bronzo sono stati eseguiti a cura di assistenti come Bertoldo, detrmina una produzione iniziale giá sotto il padre di Lorenzo, Pietro de’ Medici (1416-1469) durante la metá del XV secolo (23).

La realizzazione di placchette nella bottega di Donatello avrebbe cosí potuto essere la risposta al Barbo e alla copia seriale delle sue gemme (24). Ad ogni modo, la bottega fiorentina rimase attiva anche dopo la morte di Donatello e di Pietro e la produzione di placchette continuó verosimilmente su richiesta di Lorenzo (25).

Sebbene altri centri di produzione siano ammissibili, la produzione di placchette durante l’ultima metá del XV secolo si concentra in questi due centri: Firenze e Roma.

Rossi evidenzia che le produzioni fiorentine generalmente si rivelano piú ampie (26) e una medesima osservazione è effettuata da questo Autore che conta piú di quaranta esemplari della placchetta Testa di Pan nel suo primo stato (27) cioè una quantità generalmente elevata per esemplari noti nella variante antica.

Mentre le osservazioni di Rossi sono generalmente accurate, vi sono delle eccezioni e non vi sono prove convincenti per una origine fiorentina. Tuttavia, è significativo il particolare focus della collezione di Lorenzo incentrata su temi bacchici e dionisici. Sebbene la sua collezione non fosse la piú vasta del tempo, essa è stata una delle migliori, leggendarie e sicuramente piú accurate.

In realtà, come hanno asserito Laurie Fusco e Gino Corti, l’acquisizione della gemma che rappresenta Pan avrebbe avuto realmente senso considerando le abitudini collezionistiche di Lorenzo: «il gusto di Lorenzo era particolare, con predilezione per i soggetti mitologici e, in particolare, per quelli dionisici… temi che evocavano il mondo degli dei, degli eroi, delle ninfe, dei satiri, dei sileni e dei putti» (28).

Sebbene la testa di Pan non sia riportata negli inventari di Lorenzo, questo non esclude che non gli appartenesse. C’è infatti un bel quantitativo di gemme appartenenti alle collezioni di Lorenzo che non è mai stato citato negli inventari, ivi compresi alcuni importanti pezzi conosciuti attraverso fonti terze (29).

Oltre a queste osservazioni generali, un’ulteriore correlazione con Lorenzo puó essere suggerita da un’indagine sull’impatto determinato dalla produzione delle placchette. Che significato hanno avuto per il committente quegli oggetti e a quale scopo servivano le placchette?

Analogamente alla produzione di complessi temi allegorici nei piccoli rilievi fusi dal Riccio per la colta élite di Padova, uno scenario simile deve essersi verificato nella mente di Lorenzo per la Testa di Pan. Oltre ad aver ricoperto il ruolo di Pan nella sua giovinezza (30), Lorenzo ha adottato il suo significato in modo piú sostanziale, in seguito, durante gli anni piú tardi (31).

Gli interessi personali di Lorenzo si erano espressi molto bene nelle ville tematiche che egli frequentava nella regione bucolica attorno a Firenze. Quelle, infatti, gli consentivano un ritiro dalle fatiche della politica di stato e la piena espressione dei suoi ideali a favore dell’etá dell’oro. Importante in questo senso fu il ritiro a Villa Careggi, incentrato sugli insegnamenti morali platonici istituiti dal nonno Cosimo de’ Medici (1434-1464).

Durante il governo di Lorenzo, l’atmosfera [culturale] della Villa ha reso omaggio alle opere letterarie di Virgilio sulle quali egli era stato ben educato in giovinezza. E’ lá che Lorenzo ha adottato in incognito il ruolo del Pan Medico di Virgilio (come è stato descritto dalla seconda

Ecloga) (32), divenendo un simbolo dell’etá dell’oro e profeta di una unione cosmica.

Lorenzo e i suoi coetanei umanisti che promuovevano gli ideali del platonismo e seguivano i temi promossi da Virgilio, avevano istituito a Careggi un vero e proprio culto letterario dedicato a Pan. Le espressioni politiche del culto erano sviluppate con il potere di connettersi con la divinitá attraverso il procedimento della poesia.

In questo senso, Pan era stato convertito nella divinitá responsabile dei cicli del tempo ovvero, come ha detto Lorenzo in una sua poesia, «in tutto ció che nasce e che muore» (34)

Invece di celebrare i Santi patroni della famiglia, nel 1480 Lorenzo ospitò a Careggi un revival dei Saturnali. Quel festival aveva reso indistinti i confini delle classi sociali e aveva collegato le figure del governo con il contado locale (35). In tale ruolo, Lorenzo ha incarnato la sua fantasia arcadica come benefattore dell’armonia del mondo.

La villa di Careggi serviva come luogo nel quale Lorenzo e i suoi compagni sperimentavano la loro versione del fantastico mondo di Virgilio. Gli inizi del 1480 furono lo zenit di quella attività in cui la pressione degli impegni fiorentini spingeva Lorenzo e il suo entourage a fuggire la cittá a favore della temperie rurale del loro mondo ideale, componendo le loro ecloghe incentrate su Pan e sul suo amore per la natura, la canzone e la poesia.

Il sigillo conclusivo a queste riflessioni consiste nel dipinto Il regno di Pan realizzato da Luca Signorelli nel 1492 (fig. 10). In seguito, Giorgio Vasari riprese l’associazione di Pan con Lorenzo, nel ritratto postumo che ne effettuò (fig. 11): esso raffigura la Testa di Pan su un basamento con l’iscrizione VITIA VIRTVTI SVBJACENT, cioè “i vizi soggiacciono alla virtú”.

A giudicare dallo stile, dalla qualità e dalla condizione del cristallo di rocca inciso, la sua realizzazione dovrebbe risalire probabilmente al tardo 1400 sulla base di un modello classico.

Lorenzo puó aver commissionato un simile cristallo considerando in particolare il suo ruolo Pan-centrico presso la villa di Careggi e la devozione che egli tributava a quell’antica divinitá.

Un’occasione ragionevole per tale incarico puó essere stato il 1480 nel quale Lorenzo ha organizzato dei Saturnalia che egli e i suoi amici avrebbero documentato con copie di placchette prodotte nei primi anni del 1480, in memoria della loro visita alla villa Careggi ove si impegnavano nelle poesie Pan-centriche e nei piaceri idilliaci della temperie pastorale. Tale riscontro si allinea con il periodo di produzione normalmente accettato per le placchette.

Altrettanto importante è l’influenza di Lorenzo nel rinnovo dell’arte dell’intaglio di gemme di soggetto antico (36). A questo proposito, egli ha certamente commissionato opere per incrementare la sua collezione e per valorizzare le precedenti acquisizioni.

I collezionisti di gemme si tenevano reciprocamente sotto stretta osservazione sullo sviluppo dei loro soggetti, specialmente per quelli piú importanti.

Per esempio, Lorenzo derivò la sua collezione da quella del Barbo e si compiacque di acquisirne alcune importanti gemme in seguito alla morte di quello nel 1471.

Come osservatore delle attività di Barbo, è possibile che Lorenzo abbia seguito i suoi passi nel commemorare l’occasione di quelle Saturnalia non diversamente da come quel Papa aveva incaricato l’incisore di gemme Giuliano di Scipione Amici di eseguire una corniola con il proprio ritratto nel 1470 (fig. 12) celebrando cosí l’impegno con il quale aveva indetto il Giubileo (38).

Mentre le attribuzioni non sono il terreno specifico di questo articolo, vi sono alcune ulteriori analogie fra la Testa di Pan e la gemma intagliata del Barbo rispetto al busto di profilo volto a sx e alla dimensione condivisa.

Come regola generale, nella glittica, le attribuzioni sono impegnative se non addirittura impossibili; tuttavia, le molteplici somiglianze fra le due gemme incise sono notevoli come la piccola ciocca di capelli che fuoriesce da sotto la corona del Barbo resa in termini simili a quella di Pan e ai tratti infinitesimamente curvi che delineano le sopracciglia nei due rilievi, incisi nella stessa maniera. Inoltre, i contorni lievemente arcuati lungo il bordo delle narici e la modellazione dei volti condividono una simile definizione luminosa-gelatinosa. La pupilla di entrambi è ben scavata solo leggermente al di lá dell’orbita dell’occhio mentre le palmette che circondano la tiara del triregno si concludono con ricci rifiniti in modo acuto allo stesso modo dei capelli che sporgono sulla fronte di Pan (fig. 13).

Peraltro, la finitura presentata dai due rilievi è molto differente al punto che scoraggia e rende impossibili ulteriori confronti (39).

Nondimeno, è certamente possibile che Giuliano sia stato chiamato a realizzare l’intaglio della Testa di Pan. Ció, infatti, è verosimile dato il periodo in cui sarebbe avvenuta la sua esecuzione: circa il 1480. Fusco Corti annota che il cardinale Francesco Gonzaga (1444-1486) commissionó gemme intagliate da Giuliano fino oltre il 1483 [40]. La disponibilità di Giuliano nei confronti di piú di un committente o collezionista di gemme forní i suoi servizi ai collezionisti piú importanti del momento, compreso probabilmente lo stesso Lorenzo. Oltre a essere uno stimato incisore  di gemme, Giuliano fu anche venditore di antichità e ha cosí certamente sospinto i suoi clienti ad acquisire gemme antiche.

In sintesi, vale la pena notare che mentre la fusione di placchette da gemme inizó con l’interesse per gli oggetti antichi celebrati a quel tempo e nel desiderio di diffonderli, anche la riproduzione di gemme coeve, effettuate secondo lo stile antico, poté essere stata considerata prestigiosa e diffusa.

In particolare, la loro distinzione si diffuse a partire dalla promulgazione di una storia o di un argomento caro alla persona responsabile del loro incarico.

Gemme commissionate al loro tempo, servivano a incrementare la “statura sociale” dei committenti presso i contemporanei piú prossimi e presso il grande pubblico.

Lorenzo era certamente attento a quei benefici quando, ad esempio, commissionó la medaglia per documentare la cospirazione dei Pazzi che serví a rafforzargli il fedele sostegno della cittadinanza fiorentina.

Testa di Satiro di Michelangelo.

Un’ulteriore relazione fra il cristallo e le proprietà di Lorenzo puó essere suggerita dalla sua “riproduzione”, finora non riscontrata, in un disegno di Michelangelo (1475-1564) (fig. 14).

Il piú condiviso parere è che il disegno rappresenti un busto classico con capelli sciolti e barba sebbene in precedenza il disegno si riferisse a un Satiro, come asserito da Johannes Wilde (41).

Paul Joannides notó intelligentemente che il disegno è intimamente coerente con la cultura antiquaria acquisita da Michelangelo all’interno della compagine medicea (42).

Il disegno è stato eseguito con due differenti inchiostri cominciando con il grigio-bruno usato per rappresentare la testa e poi, in seguito, con un inchiostro marrone per aggiungergli un busto classico.

Il disegno è stilisticamente databile al 1501/03 quando Michelangelo era ritornato a Firenze da Roma. Sembra quasi che il giovane Michelangelo che lavorava su temi classici abbia usato il cristallo come riferimento per il volto del suo soggetto e poi, rivisitandolo, abbia aggiunto il resto riferendosi a una scultura classica.

A quale scopo tale esercizio fosse destinato è ignoto. Esso potrebbe essere stato un semplice esperimento realizzato in un’unica occasione ovvero [un lavoro effettuato] anni dopo, come Michelangelo faceva nel rivisitare vecchi disegni e lavorare su di essi. La datazione di questo disegno, fondata sulla successiva porzione inchiostrata di marrone ma non sulla testa inchiostrata precedentemente è solo otto o nove anni successiva al tempo in cui Michelangelo era residente nel contesto mediceo.

Al tempo stesso, sappiamo che egli  si spostava da diversi soggetti lungo i primi anni del XVI secolo, mentre lavorava a una vasta gamma di incarichi (43).

Ci si potrebbe chiedere se l’impostazione del disegno possa essere riferita all’influenza del cristallo ovale inciso.

Forse, l’abito e le vesti apparentemente non correlati potevano anche corrispondere al tentativo di convertire Pan in Virgilio, ricordando l’ammirazione che l’artista aveva per questi temi! In realtá, è suggestivo [pensare] che Michelangelo possa avere usato come riferimento il cristallo e non la placchetta [che ne costituiva la] copia [rovesciata] o altra fonte: questo fatto è evidente dal suo profilo [volto a sx] (44).

Che il cristallo sia piaciuto a Michelangelo dipende dalla sua qualità grafica: esso è visto sotto una luce appropriata, offre una esplicita  piacevolezza illustrativa.

Nel disegno di Michelangelo lo sguardo maniacale del personaggio è caratteristico anche del cristallo: se visti sotto un particolare angolo, gli occhi di Pan si accendono in modo sconcertante come è brillantemente rappresentato anche dal disegno di Michelangelo (fig. 15). Allo stesso modo, nel cristallo i capelli della parte posteriore della testa sono incisi con un rilievo piú profondo, rendendoli piú vicini al volto (in minor rilievo) per ricevere piú luce se visti sotto un particolare angolo.

Questo fatto puó spiegare la decisione di Michelangelo di non evidenziare le tratteggiature della testa mentre invece egli si è concentrato sulle caratteristiche del volto.

Hugo Chapman annota che Michelangelo prese ispirazione da fonti classiche, inclusa «la famosa collezione di cammei antichi raccolta dai Medici» (45).

Ascanio Condivi (1525-1574) osserva come Lorenzo «lo mandasse a chiamare molte volte al giorni per mostrargli gemme, cammei, medaglie e simili oggetti di notevole valore» (46).

Marta Dunkelman è propensa a credere che il giovane e ambizioso Michelangelo, avendo accesso al famoso repertorio di oggetti classici, «è stato il varco per il passato, la lente di ingrandimento della cultura antica, che era morta, che sarebbe stata riscoperta ai suoi tempi» (47).

Piú tardi, nella sua carriera, Michelangelo realizzò bozzetti finalizzati all’intaglio di gemme e Hadrien Rambach formula l’affascinante ipotesi che «sarebbe logico, anche se non certo, che l’adolescente artista avesse potuto intagliare gemme, almeno una volta per esercizio, mentre apprendeva la sua arte nella cerchia dei Medici e vedeva quotidianamente gemme » (48).

Simili considerazioni possono essere estese fino a comprendere l’eventualitá che Michelangelo abbia avuto le sue prime esperienze nella fusione in bronzo mentre era sotto la guida di Bertoldo presso l’accademia informale istituita da Lorenzo.

Piccoli oggetti in bronzo come le placchette potevano essere elementi ideali per formare i giovani studenti nelle altre fusioni. C’è da chiedersi se la scelta di Michelangelo nel disegnare la Testa di Pan non possa essere dovuta a un passato coinvolgimento nelle fusioni di placchette di tale soggetto accanto a Bertoldo e ad altri colleghi di quell’accademia.

Peraltro, Bertoldo non era estraneo alla riproduzione manuale dei rilievi della collezione di gioielli di Lorenzo; vale a dire per quelli incisi per Palazzo Scala (50). Analogamente, è altresí noto che la persona che ha introdotto per la prima volta Michelangelo nei giardini di San Marco della famiglia Medici, Francesco Granacci, ha disegnato egli stesso una delle gemme di Lorenzo (51).

L’abitudine degli artisti che lavoravano nella cerchia dei Medici a riprodurre le gemme pregiate della famiglia era un segno distintivo caratteristico della cultura espressa nella cerchia di Bertoldo e dei suoi allievi.

Michelangelo compare in una successiva ripresa, coscientemente o inconsciamente.

La notevole saga di Michelangelo, Lorenzo e Pan comprende l’interessante genesi del primo lavoro scultoreo di Michelangelo. La vicenda è annotata dal Condivi che ricorda come l’artista fosse affascinato da un busto marmoreo di classico fauno [che si trovava] nei giardini di Lorenzo. Michelangelo scolpí la sua versione in marmo e, mentre la bocca del suo modello era difficilmente riconoscibile a causa dell’etá, Michelangelo  eseguí la sua versione in modo da poterne vedere tutta la cavità e i denti (53). Secondo Condivi la scultura intratteneva piacevolmente Lorenzo tanto che si adoperó per introdurre il giovane artista nella sua cerchia.

Non ci si puó meravigliare se il cristallo Testa di Pan abbia in parte commemorato il marmo perduto di Michelangelo che rappresenta la Testa di Fauno (fig. 16).

L’impostazione e la delicata definizione dei denti di Pan realizzata nella sua bocca parzialmente aperta resta un fatto curioso.

La presentazione della Testa di Fauno da parte di Michelanglo a Lorenzo è stata anche molto piú tardi celebrato nel fantasioso affresco effettuato da Ottavio Vannini (1585-1643) circa fra il 1638 e il 1642 (fig. 17). Il soggetto della scultura sembra basarsi su una fonte correlata al cristallo. Non ci è noto se ció fosse casuale o intenzionale.

Diffusione del prototipo e denigrazione di Attila.

Fra i critici si è sviluppata una tradizione che identifica la placchetta Testa di Pan come Attila l’unno-fauno.

Tuttavia, questo Autore suggerisce che il soggetto sia stato originariamente inteso come l’effige di Pan e solo piú tardi riproposto associato alla denigrazione di Attila.

Considerando la datazione ipotizzata per l’origine del cristallo e delle successive copie in forma di placchette, il rilievo avrebbe avuto molto tempo, dopo la morte di Lorenzo e l’esilio della famiglia da Firenze nel 1492, per perdere il contesto e il significato originari e, alla fine, per assumere la consolidata identità negativa di Attila.

L’incentivo a questa errata associazione sarebbe consistito nella diffusione di versioni a stampa di Attila Flagellum Dei, la cui prima edizione è stata pubblicata a Venezia nel 1477. Quel libro narra l’inquietante vicenda della madre di Attila che rimase incinta del suo amato cane per cui Attila avrebbe ricevuto le sembianze di un uomo-cane (55).

L’origine della storia è sconosciuta ma probabilmente deriva da una tradizione orale non dissimile da quella che ha indotto nel papa Pio II l’impressione che gli Unni fossero stati generati dall’unione fra donne e demoni.

A seguito di una discreta quantità di fusioni delle placchette Testa di Pan in circolazione dopo la morte di Lorenzo, potrebbe esserci stato solo un breve periodo prima che queste placchette, decontestualizzate, fossero associate con l’uomo-cane Attila come descritto nel libro che ne infanga l’immagine.

Il primo collegamento fra la placchetta Testa di Pan e Attila si basa su due fatti appena precedenti il cambio di secolo.

Nel manoscritto Cronaca Veneta sino al 1433, nel quale le caratteristiche canine di Attila sono di nuovo evidenziate, Donato Contarini presenta crudelmente il ritratto effettuato di Attila derivante dalla placchetta fusa della Testa di Pan (fig. 18) (57).

Contarini aveva aggiunto la scritta ATI-LA, che accompagnava l’effige. La placchetta con la Testa di Pan o un suo calco in gesso, avrebbe potuto essere verosimilmente appartenuta all’autore del manoscritto Contarini il cui mestiere si basava spesso su fonti materiali in cui le placchette erano un utile mezzo.

Un altro manoscritto, probabilmente romano e risalente allo stesso periodo, è il messale del cardinale Antoniotto Pallavicini attribuito al maestro Pallavicini che evidenzia ugualmente espliciti riferimenti al rilievo (19).

L’associazione di Contarini alla placchetta in circolazione con Attila è stata probabilmente derivata o è stata fornita dall’esperienza di chi fu coinvolto nella realizzazione del medaglione in pietra della Cattedrale di Pavia che raffigura una quantità di celebri eroi dell’antichitá.

 Mentre l’identificazione dei creatori dei medaglioni è fumosa, Werren e Rossi osservano che il medaglione che riproduce il profilo di Attila (fig. 20) fu piú probabilmente eseguito da Giovanni Antonio Amadeo circa nel 1491-1498.

Per colui che eseguì il medaglione di Attila, il riferimento alla placchetta di Pan come modello ha richiesto solo l’aggiunta della scritta ATTILA FLAGELLVM DEI, per garantirne la corrispondenza con il vilipeso guerriero. L’iscrizione, presa dal titolo del libro responsabile della presunta connotazione uomo-cane di Attila, serví cosí come sola modifica richiesta per sostituire il significato originario della placchetta e offrirne un nuovo per il secolo XVI e oltre.

La creazione del medaglione di Attila, tratta dalla placchetta Testa di Pan, non puó essere stata l’unica occasione per gli scultori della Cattedrale di Pavia. Burnett e Schofield offrono esempi di come gli scultori abbiano derivato le immagini per i loro rilievi da una varietá di fonti inclusa la monetazione antica, una quantitá di medaglie e verosimilmente altre placchette (59).

Gli svarioni nei quali sono incorsi gli autori dei medaglioni sono ridicolizzati dai suddetti autori per i loro “crimini contro la numismatica” (60) rilevando i vari errori compiuti grazie ai quali gli elementi di una varietá di fonti sono stati mischiati fornendo nuovi o semplicemente confusi significati nei medaglioni.

Dopo la sostituzione di Pan per Attila presso la Cattedrale di Pavia, l’associazione [fra l’immagine faunesca di Pan e quella di Attila] rimane costante durante il XVI secolo. E’ probabilmente poco dopo la fine del secolo che troviamo le successive fusioni di placchette Testa di Pan con l’iscrizione ATTILA FLAGELLVM DEI incisa lungo il suo margine interno (fig. 09).

Queste successive placchette incise sembra che siano servite come riferimento per una quantitá di medaglie a partire dalla fine del XVI secolo che riproducono Attila come fauno con la scritta ATTILA REX (fig. 20). In queste medaglie si verificano una quantità di variazioni ma esse evidenziano chiaramente un’influenza che trae origine dal motivo del cristallo (61). Una xilografia di Tobias Stimmer per il libro di Paolo Giovio Elogia virorum bellica virtute illustrium, pubblicato nel 1575, adotta la citata immagine di Attila sulla medaglia (fig. 21) (62). La xilografia di Stimmer puó certamente essere servita come fonte diretta per le medaglie attingendo ancora dal prototipo precedente.

Oltre alle medaglie seriali di Attila, esiste una piú rara medaglia italiana che ritrae un busto fittizio di Attila, modellato sulla base ovvero servito come modello per la xilografia di Cosmographica , circa 1580.

Alla fine del XVII secolo, Giovanni Bonazza (1654-1736) o qualcuno della sua cerchia, creó un’interpretazione stilizzata dell’immagine del rilievo in bronzo. La rappresentazione di Attila come fauno continuó fino alla fine del XIX secolo mediante la diffusione di stampe basate su quei modelli precedenti. Un esempio tardivo è un’incisione di Charles Horne del 1894 per l’edizione di Great men and famous women (fig. 22).

Conclusioni.

E’ importante considerare che un piccolo intaglio della dimensione di un’impronta digitale sia poi servito come immagine prototipica dell’uomo-bestia che la conoscenza occidentale sarebbe giunta a identificare come il barbaro guerriero Attila.

Esso è certamente l’esempio di come lo sviluppo dei vari media nel tempo sia servito a riprodurre e fornire la fisionomia della storia e della cultura essendo testimonianza del potere iconografico della glittica. Questa idea non è troppo lontana dalla veritá se si considera quanto profondo sia stato l’impatto della marginale arte delle miniatura nell’influ-enzare l’emozione umana e la consapevolezza.

Per esempio, potremmo riflettere sulle nuove osservazioni di Dunkelman secondo le quali una delle immagini sul divino piú rinomate nel mondo occidentale (che Michelangelo rappresenta orizzontalmente nella creazione di Adamo, nella Cappella Sistina) non è necessariamente un’invenzione del genio di Michelangelo ma l’omaggio ai venti etesii rappresentati nella pietra incisa piú celebrata dal Rinascimento italiano, La tazza farnese (63).

Considerando che un’immagine cosí potente è presa in prestito nientemeno che da un dettaglio di circa 3,5 pollici, cioé esemplifica l’impatto che certi piccoli oggetti hanno avuto sulla vita di artisti, committenti e popolazioni passate e attuali.

Mentre l’assunto piú concreto di questo articolo comporta la conferma che la Testa di Pan è la fonte delle placchette che ne sono copia, noi possiamo ragionevolmente solo ipotizzare le sue origini e lo scopo.

Poiché nessuna lista di inventario esaminata da questo Autore fa menzione di un cristallo di rocca intagliato di quel tipo presso le piú importanti collezioni di quel periodo è comunque speranza di questo stesso Autore riscattare al meglio il significato dell’oggetto dalla sua indegna associazione con Attila ripristinando quello suo verosimile di simbolo dell’etá dell’oro nella visione di Lorenzo de’ Medici che vi ha dedicato tanta parte della vita, affinché il significato delle placchette non sia lamentevolmente “nato e morto”.

Note.

1.

Per la più recente discussione sul cammeo e le sue riproduzioni mediante placchette, si veda la collezione Riddick n. 13 (www.renbronze.com) o Francesco Rossi, La Collezione Mario Scaglia; placchette. Voll.I-III, Lubrina Editore, Bergamo, 2011; n. I.3, pp. 34-35, 515.

2.

John Boardman (accesso all’aprile 2016):

The Marlborough Gems, http://www.beazley.ox.ac.uk/gems/marlborough/boardman.htm.

3.

La montatura è stata ritenuta come inglese quando venne valutata nel 1990 da Sotheby’s, anche se le riflessioni di altri esperti ne avevano suggerito una probabile origine italiana (o spagnola).

La montatura originaria del cristallo è andata perduta, aspetto comune alle sopravissute gemme del Rinasimento e ancor piú tipico di quelle precedentemente appartenute alla collezione di Lorenzo de’ Medici.

4.

Emile Molinier, Les Bronzes de la Renaissance; les Plaquettes, 2 Vol. Parigi, Francia, 1886,  p.23, n. 41.

5.

F. Rossi (2011): op. cit. (nota 1), n. I.22.

6.

Jeremy Warren, Medieval and Renaissance sculpture in the Ashmolean Museum, Vol III, Plaquettes, Museo Ashmolean, Regno Unito, 2014, pp. 911-912, n. 372.

7.

Vendita Sothebys, 12 aprile 1990, lotto 182.

8.

F. Rossi (2011): op. cit. (nota 1).

9.

Vendita Sothebys, 11 gennaio 1995, n. 281.

10.

Grazie a Neil Goodman per avermi comunicato queste osservazioni (mail dell’aprile 2016).

11.

Francesco Rossi Placchette, Sez. XV-XIX, Neri Pozza Editore, Vicenza, Italia, 1974, pagg. 6-7, n. 9.

12.

Giuseppe e Fiorenza Vannel-Toderi, Placchette Secoli XV-XVIII, Museo Nazionale del Bargello, Studio per Edizioni Scelte, Firenze, Italia, 1996, pagg. 28-29, n. 28.

13.

F. Rossi (1974): op. cit. (nota 11), n. 8.

14.

F. Rossi (2011): op. cit. (nota 1).

15.

F. Rossi (2011): op. cit. (nota 1).

16.

Cfr. Toderi-Vannel (1996): op. cit. (nota 12), n. 48R per un esemplare nel quale l’antico busto di donna è realizzato con l’antico busto di Minerva sul lato opposto.

17.

F. Rossi (2011): op. cit. (nota 1).

18.

F. Rossi (2011): op. cit. (nota 1).

19.

F. Rossi (2011): op. cit. (nota 1).

20.

Alessandro Ubertazzi, Un arcano rivelato; il invisibile mobile, Edizioni Imagna, Bergamo, 2011, pp. 68-69.

21.

Circa la discussione su questo cfr. Francesco Rossi, Le Gemme Antiche e le Origini della Placchetta. Studi sulla storia dell’arte. Le placchette italiane, vol. 22, Galleria Nazionale d’Arte, Washington DC, 1989, pp. 55-69.

22.

Doug Lewis, Placchette e rilievi di bronzo in età del Mantegna, Mantova e Milano (F. Rossi, ed.), Skira, 2006, pp. 3-15.

23.

Circa la discussione su questo cfr. Doug Lewi, Rehabilitating a fallen athlete; evidence for a Date of 1453-54 in the Veneto for the Bust of a Platonic Youth by Donatello. Studies in the History of Art, No. 62, Galleria Nazionale d’Arte, Yale University Press, 2001.

24.

D. Lewis (2001): op. cit. (nota 23).

25.

Lorenzo fu committente di medaglie in bronzo durante il 1480 e l’esistenza di placchette fuse da gemme tratte dalle sue collezioni è accettata dagli studiosi.

26.

F. Rossi (1989): op. cit. (nota 21).

27.

La quantità di fusioni è elencata da Francesco Rossi; cfr. F. Rossi (2001): op. cit. (nota 1), n. I.22, pp. 55-56, 517. Tuttavia questo Autore ha identificato altri esemplari in collezioni pubbliche e private.

28.

Laurie Fusco e Gino Corti, Lorenzo de’ Medici; collector and Antiquarian, Cambridge University Press, 2006, p. 96.

29.

L. Fusco, G. Corti (2006): op. cit. (nota 28).

30.

Allan Ruff, Arcadian Visions: Pastoral In_uences on Poetry, Painting and the Design of Landscape, WindgatherPress, Regno Unito, 2015, p. 31.

31.

Un primo omaggio di Lorenzo a Pan fa riferimento a questo poema: L’altercazione (altrimenti detta De Summo Bono) scritta a vent’anni; per ulteriori dettagli cfr. Heather O’ Leary McStay, Viva Bacco e viva Amore; Bacchic Imagery in the Renaissance, Università della Columbia, 2014, p. 14.

32.

A. Ruff (2015): op. cit. (nota 30).

33.

Kathryn Frances Hall, Pan’s Follower; Baccio Bandinelli’s Villano Statue at the Boboli Garden, Wofford College, 2009, pp. 18-19.

34.

H. McStay (2014): op. cit. (nota 31), pag. 322.

35.

K. Hall (2009): op. cit. (nota 33), pag. 19.

36.

Nel 1477 Lorenzo portó il medaglista Pietro de’ Neri Razzanti (nato nel 1425) a Firenze per insegnare l’incisione delle gemme e fare di Firenze un centro per la produzione di [oggetti e di] gemme di alta qualità in questo genere di arte.

Gemme a lui contemporanee tratte dall’antico hanno fatto parte della collezione di Lorenzo, come si puó riscontrare in diverse gemme sopravissute della sua collezione, ora al Museo Archeologico di Napoli.

37.

L. Fusco, G. Corti (2006): op. cit. (nota 28), pag. 186.

38.

Riccardo Gennaioli (2012): Gemme dei Medici, Firenze, p. 34.

39.

Questo Autore desidera discutere sul fatto che la Testa di Pan mostra altresì strette affinitá stilistiche con la diffusa placchetta di Giulio Cesare (cfr. Toderi-Vannelli, nn. 29-31, 1966) con sicurezza associato alla produzione avviata da Pietro Barbo a Roma.

Questo Autore propone che la placchetta di Giulio Cesare sia forse derivata da un cammeo rinascimentale realizzato dalla stessa mano che è responsabile della Testa di Pan, forse Giuliano Scipione di Amici.

40.

L. Fusco, G. Corti (2006): op. cit. (nota 28), pp. 182-83.

41.

Johannes Wilde, Italian Drawings in the British Museum, Michelangelo and his School, Londra, 1953, pp. 3-4, n. 02.

42.

Paul Joannides nel catalogo delle esposizioni (K.Weil-Garris Brandt e C. Acidini Luchinat eds), Firenze, Palazzo Vecchio e Casa Buonarroti; giovinezza di Michelangelo, 1999, p. 222, n. 13.

43.

Hugo Chapman, Michelangelo drawings; closer to the Master, Yale University Press, 2005, pp. 67-69.

44.

La famiglia Medici fu espulsa da Firenze nel 1494 e lo smembramento delle sue collezioni è un fatto complesso (cfr. L. Fusco, G. Corti [2006]: op cit. [nota 28], capitolo 7).

A seconda della data precisa in cui il disegno della testa [fu effettuato] su quel foglio, è impossibile dire dove, quando e attraverso quali mezzi Michelangelo avrebbe potuto accedere al cristallo. Mentre i Medici erano cacciati, la loro collezione di gemme era conservata a Roma, tuttavia alcuni oggetti avrebbero potuto essere prelevati dalla famiglia esiliata alla sua parenza e si sa che i loro numerosi amici fedeli ne hanno conservato alcune parti probabilmente ancora a Firenze durante il periodo [in cui] il disegno di Michelangelo [fu eseguito], circa 1501-1503.

Inoltre, Michelangelo rimase in contatto con Piero di Cosimo (figlio di Lorenzo e suo successore) prima e durante l’esilio dei Medici.

45.

H. Chapman (2005): op. cit. (nota 43), pag. 63.

46.

Ascanio Condivi (1553), La vita di Michelangelo, Alice Sedgwick Wohl (trans, 1976), Hellmut Wohl (ed.), Baton Rouge,  p. 13.

47.

Martha Dunkelman, From Microcosm to Macrocosm; Michelangelo and ancient gems, Zeitschrift Für Kunstgeschichte, 2010, 73 (3), pp. 363-376.

48.

Hadrien Rambach,Apollo and Marsyas on engraved gems and medals, Jahrbuch fur Numismatik und Geldgeschichte, 2011, n. 61, pp. 144-45.

49.

Questa idea è stata comunque discussa in profondità da Paul Joannides, per esempio, in P. Joannides e Victoria Avery (2015), A Michelangelo discovery, Fitzwilliam Museum, Regno Unito. Altri scultori che avranno acquisito le esperienze iniziali nella fusione del bronzo nell’accademia formale di Lorenzo sono Bastiano Torrigiano (1472-1528), Adriano Fiorentino (1450-99), Giovanni Francesco Rustici (1475-1554).

50.

L. Fusco, G. Corti (2006): op. cit. (nota 28), pag. 106.

51.

L. Fusco, G. Corti (2006): op. cit. (nota 28), pag. 104.

52.

Michael Hirst sottolinea che la testa del modello utilizzata su questo foglio è la stessa di un’altra riprodotta da un altro studente più capace su un foglio diverso appartenente a una collezione privata di NY. Cfr. Michael Hirst, Michelangelo and his drawings, Yale University Press, 1988, pp. 17-18.

53.

L. Fusco, G. Corti (2006): op. cit. (nota 28), pp. 56-62.

54.

Accettato anche da Pietro Cannata, cfr. P. Cannata (1981-2000), Piccoli Bronzi Rinascimentali e Barocchi del Museo Oliveriano di Pesaro, Studia Oliveriana (Serie II 1981-2000), vol. VI-VII.

55.

A. Burnett e R. Schofield, The Medallions of the “Basamento” of the Certosa di Pavia, sources and influence, Fonti e influenza, Arte Lombarda, 1997 (120 [2]); p. 7.

56.

J. Otto Maenchen-Helfen, The world of the Huns; studies in their history and culture., Berkeley e Londra, University of California Press, 1973, pp. 5, 9-17.

57.

Patricia Fortini Brown, Venice & Antiquity; the venetian sense of the past, Yale University Press, 1997, p. 146.

58.

Marika Leino, Devotion and contemplation; the status and functions of italian Renaissance plaquettes, Peter Lang, Berna, Svizzera, 2013, pp. 72-80.

59.

A. Burnett e R. Schofield (1997): op. cit. (nota 55).

60.

A. Burnett e R. Schofield (1997): op. cit. (nota 55), pag. 8.

61.

F. Rossi (2011): op. cit. (nota 1).

62.

Peter Bietenholz, Historia and fibula; myths and legends in historical tought from Antiquity to the Modern Age, Brill Press, 1994, p. 205.

63.

M. Dunkelman (2010): op. cit. (nota 47).

fig. 01.

Una placchetta in bronzo fuso che rappresenta la Testa di Pan (a sx) e il cristallo di rocca inciso (a dx). Suo prototipo.

fig. 02.

La superficie convessa del cristallo (a sx) è confrontata con la corrispondente superficie concava della placchetta (a sx).

fig. 03.

Confronto: il cristallo di rocca fotografato da dietro (a sx); esemplare presunto nella collezione Scaglia (a dx)].

fig. 04.

Confronto: il cristallo di rocca fotografato da dietro (a sx); esemplare nella collezione Scaglia (a dx).

fig. 05.

Confronto: il cristallo di rocca fotografato da dietro (a sx); esemplare di Humphris (a dx).

fig. 06.

Confronto: il cristallo di rocca fotografato da dietro (a sx); esemplare nella collezione Scaglia (a dx).

fig. 07.

Paragone: il cristallo di rocca fotografato (a sx); un calco del cristallo (a dx).

fig. 08.

Uno smalto dipinto nella metá del XVI secolo di “Amore e Virtú” attribuito a Jean Penicaud II (Louvre; Inv. OA4018).

fig. 09.

Confronto: esemplare della collezione Ubertazzi (a sx); esemplare della collezione Buttazzoni (a dx)

fig. 10.

“Il regno di Pan” di Luca Signorelli, circa 1490 (opera distrutta, precedentemente al Museo del Kaiser Federico).

fig. 11.

Ritratto di Lorenzo il Magnifico di Giorgio Vasari, circa 1533-1534 (Uffizi, Firenze).

fig. 12.

Busto di papa Paolo II (Pietro Barbo), corniola intagliata da Giuliano di Scipione Amici, 1470 (Palazzo Pitti. Museo degli argenti, inventario della gemme n. 323

fig. 13.

Cristallo di rocca intagliato con la Testa di Pan (a sx); corniola intagliata di papa Paolo II (a dx); Palazzo Pitti, Firenze)

fig. 14.

Testa di Satiro di Michelangelo, circa 1501-03 (British Museum; Inv. 1895,0915.49).

fig. 15

Testa di Satiro di Michelangelo, circa 1501-03 (a sx) (British Museum; Inv. 1895,0915.495); cristallo di rocca intagliato della Testa di Pan (a dx)

fig. 16.

Testa di Satiro di Michelangelo, 1522 (Louvre; Inv. INV684)

fig. 17.

Particolare del dipinto con Michelangelo che mostra a Lorenzo il magnifico la testa di Fauno di Ottavio Vanini, circa 1638-42 (Palazzo Pitti, Museo degli Argenti).

fig. 18.

Dettaglio del manoscritto Cronaca veneta sino al 1433 di Donato Conarini, circa 1500 (Vienna, Biblioteca nazionale).

fig. 19.

Dettaglio di un bordo miniato del messale del cardinale Antoniotto Pallavicini, circa 1500 (British Librery; inv. 60 630,ff9, 19-32 f. 29).

fig. 20.

Medaglione in pietra di Attila presso la Cattedrale di Pavia, attribuito a Giovanni Antonio Amadeo, circa 1491.

fig. 21.

Incisione di Attila di Tobias Stimmer per Paolo Giovio nell’“Elogia vororum bellica virtute illustrium”, 1575.

fig. 22.

Incisione di Attila dal libro “Grandi uomini e donne famose” di Charles Horne, 1894.

Arte, design e moda nel giornalismo e nella comunicazione

di Nerina Seligardi

Lo scorso 20 maggio, presso l’Istituto Leone XIII di Milano e organizzata da Democo, la professoressa Cristina Muccioli ha tenuto la conversazione “L’arte, il design e la moda nel giornalismo e nella comunicazione”.

Patrocinato dall’Associazione Ex Alunni dell’Istituto e dall’Universitá dell’Insubria e riconosciuto dall’Ordine dei Giornalisti della Lombardia (che attribuiva 2 CFP), l’evento si è svolto spaziando dall’arte classica all’arte contemporanea con limpidezza di idee, trasparenza di concetti e sottile ironia.

Considerare l’arte oggi anche come mezzo di comunicazione impone la conoscenza intrinseca della materia creata dalla mano e dalla mente dell’artista che non sempre riesce a comunicare il significato della sua opera.

Riconoscere e commentare un’opera (comparando con semplicità periodi di espressione artistica assai diversi, attraverso una logica sorprendente) ha permesso ai numerosi presenti di afferrare le dinamiche dell’arte. Attraverso la comunicazione, questa si riscatta stupendo l’osservatore: interrogato, questi elabora una risposta per nulla scontata.

Pablo Picasso: Guernica, 1937

Con innata grazia femminile, Cristina Muccioli ha saputo convincerci che la palpitazione che scaturisce davanti a un’opera d’arte equivale al più semplice degli strumenti di comunicazione disponibili a patto che si catturi l’attimo dell’emozione.

Nerina Seligardi

Una serata a fumetti

di Massimiliano Cattano

Alcune cose le releghiamo al mondo dei bambini, come i fumetti, che, peró, per tanti di noi, sono stati il primo esercizio di lettura.

La serata organizzata in Associazione Ex Alunni, per Democo, dal Consigliere Sandro Ubertazzi (architetto, già professore alla Facoltá di Architettura Firenze) è stata davvero speciale perché ci ha mostrato in modo vivace e accattivante come il mondo delle “strisce disegnate”, con il testo nella nuvoletta, sia una vera e propria forma di letteratura.

Dopo il saluto del nostro presidente Marco Anguissola, Ubertazzi (che è anche presidente di Democo) ha introdotto la serata annunciando che da questo primo appuntamento potrebbe nascere addirittura un Corso sull’applicazione del fumetto al mondo della comunicazione.

Alessandro Ubertazzi, Massimo Chiodelli e Marco Anguissola di San Damiano

Massimo Chiodelli ci ha raccontato la sua esperienza personale: nonostante sia oggi apprezzato come un bravo architetto, già dai tempi del Politecnico dove si è laureato, è forse ancor più noto come “quello che disegna i fumetti”!

Ha raccolto poi la parola Loris Cantarelli (direttore di “Fumo di China”, la più autorevole rivista di critica fumettistica) che ha ripercorso la storia del fumetto, dalle sue radici più antiche sino ai giorni nostri (in questo senso, la colonna traiana è un fumettone… difficile peró da ristampare).

Egli ci ha riferito le principali definizioni che i piú grandi esperti hanno proposto per identificare questa forma di arte che, di norma, mette insieme disegno e parola.

Certamente lo sviluppo “moderno” nato negli USA ha molto condizionato la nostra idea di “fumetto” ma è stato davvero sorprendente scoprire quante specialità si trovino anche nel nostro mondo: il fenomeno dei “manga” giapponesi, ad esempio, che si legge al contrario o i fumetti cinesi con tutti i problemi di traduzione in ideogrammi, anche dei rumori, o i diversi modi di rappresentare “l’azione” o il “rumore” di quell’azione (es.: “SCHIAFFO” oppure “sciaff”).

E l’Italia? Abbiamo scoperto che, in alcuni casi, siamo stati un’avanguardia come nel fotoromanzo (un vero e proprio pre-fumetto) oppure nelle storie di Topolino. Nel classico, poi, rappresentiamo casi di successo di lungo respiro, come testimoniano “Tex” o “Diabolik” solo per citarne due.

Loris Cantarelli, Fumo di China

Comunque continuiamo a costituire un’eccellenza, sia dal punto di vista editoriale che per gli autori. L’altra sera ne abbiamo conosciuti due.

Paolo Bacilieri ci ha mostrato alcuni suoi disegni tratti da opere già pubblicate (“Tramezzino” e “FUN”). Disegni con un accento architettonico davvero bello, soprattutto nelle tavole dedicate a Milano o i paesaggi di New York! Particolarità? Che nel disegno, con un po’ di fantasia, palazzi e monumenti si spostano dove si vuole, nello spazio e nel tempo…come quel grattacelo che abbiamo visto nel disegno, ma che al tempo di ambientazione della storia “era già stato demolito… ma era troppo bello per non metterlo”!

Paolo Bacilieri

Poi è stata la volta di Aldo Di Gennaro (storico disegnatore de “il Corriere dei piccoli”): ci ha spiegato che, a differenza di altri, egli non è autore, cioè realizza i disegni per le idee di altri (salvo poche eccezioni). Questa specificazione è la cifra dell’umiltà e della simpatia con la quale ci ha fatto vedere alcuni disegni realizzati nella sua carriera. Tutti sono rimasti a bocca aperta per la bellezza di quelle opere d’arte, dove l’utilizzo del colore per rendere allo spettatore la magia della luce è certamente frutto di una sensibilità superiore.

Aldo Di Gennaro

Ho chiuso io l’incontro perché il nostro presidente era impegnato; il ringraziamento rivolto ai nostri ospiti è stato sentito e sincero. Essi ci hanno intrattenuto con competenza, spontaneità e allegria per più di due ore, facendoci conoscere a fondo un modo, un registro comunicativo ultramoderno… Tra l’altro,  WhatsApp e le chat dei telefonini che usiamo tutti giorni come ci mostrano i messaggi?

Il pubblico numeroso ha partecipando immerso nei ricordi, ma senza perdere una parola di questa serata speciale.

Ancora grazie e arrivederci.

Massimiliano Cattano

Il progetto di interior design

di Alessandro Ubertazzi

Come diceva Filarete, il grande architetto rinascimentale, l’architettura è figlia di due genitori: un padre, il principe (oggi diremmo il committente) e una madre, l’architetto.

Indubbiamente, l’architettura non può esistere senza queste due figure; un’architettura in se e per se non ha senso e, infatti, anche  la progettazione degli ambienti è un servizio reso all’essere umano che li abiterà.

Alla luce di questi elaborati princípi, il giorno 2 di aprile scorso presso la Sala Grande dell’Istituto Leone XIII si è tenuta una conversazione sul “ progetto di interior design” con il contributo critico dell’architetto Ettore Mocchetti, direttore della famosa rivista “AD-Architectural Digest” Italia.

gli architetti Alessandro Ubertazzi e Ettore Mocchetti

In quella occasione, Denise Patricia Viviani, Daniela Turotti e Neri Seligardi, tre brillanti architetti di formazione politecnica, hanno presentato e commentato diversi loro interessanti progetti. L’articolata sequenza delle immagini presentate  ha messo in evidenza alcuni aspetti comuni: come ha fatto notare Ettore Mocchetti, tutte le realizzazioni  mostravano, ad esempio, una grande sensibilità per i materiali caratteristici del luogo, per i colori dell’ambiente e  per la tradizione edilizia del contesto in cui esse si collocavano.

gli architetti Denise Viviani, Neri Seligardi e Daniela Turotti

L’agenzia formativa DEMOCO,  che aveva organizzato l’evento, ha preannunciato altre iniziative di quel tipo e perfino la possibilità che, in futuro, essa proponga dei veri e propri corsi dedicati al grande pubblico, ad esempio per sensibilizzare soprattutto le signore alle logiche del progetto di interni. In realtà i professionisti specializzati in quel genere di progetto non devono essere confusi con i cosiddetti “arredatori”: questi, peraltro, spesso si limitano a collocare  mobili, quadri e complementi d’arredo con buon gusto nell’ambiente.

la scala interna della Tree House a Malindi (progetto di Neri Seligardi)

Gli interior designers sono dei veri e propri progettisti specialisti, necessariamente sempre più aggiornati e  preparati sotto il profilo tecnico: dalla conoscenza dei materiali e delle loro prestazioni (marmi, legni vetri e metalli) alle tecnologie, dalla domotica all’idrosanitaria, alla illuminotecnica e al coordinamento degli artigiani in grado di realizzare materialmente gli oggetti e le finiture secondo appropriati progetti.

La magia degli ottagoni

di Alessandro Ubertazzi

Molti di noi conoscono qualche ottagono non solo perché lo hanno incontrato a scuola nelle lezioni di geometria bensì perché ne hanno frequentato qualcuno come, per esempio, quello della Galleria di Milano il cui centro si chiama, appunto, Ottagono.

In realtà, questa figura è da alcuni millenni presente nelle costruzioni umane, soprattutto a partire dall’edilizia sviluppata dai romani: quei valenti costruttori avevano presto compreso che per “voltare” con una cupola uno spazio a pianta quadrata era particolarmente utile la mediazione di un ottagono (impostandolo sulle “unghie” ricavate agli angoli di quell’ambiente).

03-Cupola di S. Maria del Fiore a Firenze 1

Da duemila anni a questa parte, praticamente tutti i battisteri cristiani sono a pianta ottagonale anche perché la figura che li sottende contiene precisi riferimenti catechistici; nella simpatica conversazione del 14 marzo scorso al Leone XIII, con il patrocinio dell’Associazione Ex Alunni, l’amico Giovanmaria Lechi (che è stato professore di Telerilevamento al Politecnico di Milano), ha fatto notare e ha mostrato che anche molti edifici religiosi dell’Islam sono impostati sulla base di questa figura geometrica dalla quale si dipartono cupole che, poi, a coronamento, sbocciano in una sfera.

Peraltro, nella ricerca, anche filosofica, della “quadratura del cerchio”, l’ottagono appare un decisivo passo intermedio fra quelle due figure concettualmente così distanti.

02-Mattonella iraniana 2

Senza affrontare, questa volta, le questioni più squisitamente esoteriche che avrebbero indotto Federico II di Svevia a istituire a Castel del Monte la sede delle sue divagazioni di falconiere, Lechi ci ha ricordato il meraviglioso castello a pianta ottagonale le cui torri “rafforzano” gli spigoli a loro volta ottagonali.

Castel del Monte - CHIOD 3

In realtà, certe forme geometriche si trovano, allo stato puro, abbastanza facilmente anche in natura.

In tal senso, l’esagono (che si ottiene riportando sei volte il raggio di un cerchio sulla sua circonferenza) si ritrova nella struttura delle cellette delle api o nella sezione dei cristalli di quarzo. L’ottagono, invece (che si ottiene disegnando due quadrati ruotati di 45°), si ritrova nelle geometrie dei polipi caratterizzati, come si sa, da otto tentacoli… da cui il nome inglese octopus.

Affascinato dalla magia degli ottagoni, l’amico Giovanmaria Lechi ne ha mostrato molte raffinate immagini fra le innumerevoli che ha scattato negli anni in tutto il mondo con ammirevole, “ingegnerile” metodicità: riflettendo sulla curiosa ricorrenza dell’ottagono in molti ambiti culturali anche assai distanti fra loro, egli ci ha intrattenuto su altre curiosità correlate al suo specifico sapere scientifico. Egli ci ha così riportato l’intrigante notizia che riguarda la capacità umana di correggere e raddrizzare con la mente le linee che l’occhio percepisce fisicamente come curve: proiettate sul fondo della retina assolutamente curve, resta ancora un mistero come le immagini percepite dall’occhio siano trasformate dal nostro cervello secondo le regole della geometria euclidea.

04-Lampione musulmano 4

Didascalie.

1. Cupola di Santa Maria del Fiore a Firenze.

2. Mattonella iraniana.

3. Castel del Monte; disegno di Massimo Chiodelli.

4. Lampione musulmano.