Una coppia di rilievi di medie dimensioni raffiguranti rispettivamente l’“Adorazione dei Pastori” (fig. 01) e un “Compianto” (“Lamento”) (fig. 02) sono conosciuti attraverso una quantità innumerevole di esemplari in collezioni private e pubbliche. Alcune particolarità distinguono tali esemplari per il trattamento dei loro drappeggi, le textures e le piccole aggiunte o sottrazioni di dettagli.
Piú specificamente, gli esemplari dell’“Adorazione” presentano varie date incise diretta-mente nella matrice mentre le varianti di entrambi i rilievi sono state prodotte nel corso dei secoli in una discreta varietà di materiali (1) e utilizzando diversi metodi di fabbrica-zione (2).
Le piú belle versioni conosciute dell’“Adorazione” presentano un’iscrizione (PARM INVENT), lungo la trabeazione delle rovine architettoniche raffigurate nella scena men-tre un capitello rotto, appoggiato a terra sul margine inferiore, riporta la data 1561.
Le prove del successo di questo rilievo e della sua continua riproduzione sono dimostra-te da repliche successive, probabilmente contemporanee, con le date 1580 (3), 1586 (4) e 1600 (5). Altri esemplari datati, con un’iscrizione alternativa lungo la trabeazione, GLORIA IN EXCELSIS DEO, riportano gli anni 1587 (6), 1589 (7) e 1590 (8).
Per la datazione del rilievo del “Compianto”, un termine ante quem è assicurato da un esemplare fuso in bronzo conservato al Museo Civico di Ferrara: questo presenta il tim-bro della fonderia veneziana di Santo o Joseph de Levis ed è datato 1577 (9).
Prospero Rizzini catalogò per la prima volta il rilievo dell’“Adorazione” conservato pres-so i Musei Civici di Brescia, suggerendo che la composizione fosse ispirata a un dipinto del Parmigianino: si trattava di un’ipotesi plausibile basata sulla trabeazione iscritta che recita infatti PARM[IGIANINO] INVENTORE. Andrea Moschetti seguì quel sug-gerimento, ritenendo invece che derivasse da un disegno non identificato di quel maestro (11). Nonostante la morte del Parmigianino nel 1540, altri studiosi mantennero queste nozioni in considerazione della persistenza dell’influenza di quell’artista (12).
Poco dopo, un altro possibile candidato, l’orafo e medaglista parmense Gian Federico Bonzagna fu proposto come possibile autore identificato dalla scritta PARM INVENT (13). Bonzagna firmava infatti le sue medaglie con variabili abbreviazioni di IOANNES FEDERICUS PARMENSIS. Tale suggerimento raccolse un’accettazione ancora più diffu-sa della associazione col Parmigianino ed egli è oggi ancora frequentemente indicato come l’inventore dei rilievi, nonostante Francesco Rossi abbia respinto l’idea (commentando la “totale assenza di connessioni con il lavoro noto di Bonzagna”) (14) e nonostante l’osservazione di Anthony Geber secondo la quale Bonzagna ha sempre incluso il suo no-me nelle sue firme (15) (assente sul rilievo dell’“Adorazione”). Più recentemente, Charles Avery ha osservato che i rovesci medaglistici di Bonzagna non si riferiscono in modo sod-disfacente ai due rilievi (16) mentre Doug Lewis ha respinto la loro associazione con Bon-zagna, commentando una pace che raffigura un “Compianto” attribuita Bonzagna, il cui disegno non ha nulla in comune con il rilievo del “Compianto” qui discusso (17).
Nei confronti con i suddetti rilievi, altri studiosi hanno adottato un approccio più cauto; Wilhelm von Bode li ha semplicemente descritti come opere italiane del XVI secolo (18). Ernst Bange (19) e Max Bernhart li hanno considerati probabilmente veneziani (20) e altri hanno designato la coppia come emiliana (circa 1550-75) (21) o forse roma-na (22).3
La recente attribuzione di Lewis dei due rilievi a Pellegrino Tibaldi rimane inedita (23) ma è stata riconosciuta e accettata da Avery (24). Lewis ha messo in relazione l’attività di Tibaldi a Bologna (dove il Parmigianino fu attivo tra il 1527-31 e dove lo stampatore Giulio Bonasone riprodusse i suoi disegni) come fattore chiave per la genesi di quei ri-lievi. Sfortunatamente, nessuna opera conosciuta del Parmigianino è analoga ad essi, salvo l’interessante osservazione di Lewis secondo la quale l’arco trionfale romano sul-lo sfondo del suo pannello concernente la “Madonna con San Zaccaria” corrisponde all’ambiente architettonico dell’“Adorazione”. La maggior parte degli altri confronti fat-ti da Lewis sono forse troppo superficiali e si basano di nuovo sul suggerimento che un disegno perduto o un potenziale gruppo di opere ascrivibili al Parmigianino potrebbe essere servito come fonte per i disegni dell’“Adorazione” e del “Compianto”.
Mentre il suggerimento di Tibaldi è fresco e audace, questo Autore non ha notizie circa il fatto che abbia lavorato nella scultura in metallo e, d’altro canto, i suoi rilievi in pietra non hanno nulla in comune con il carattere stilistico di quelli dell’“Adorazione e del “Compianto”.
Piuttosto, i rilievi appartengono in modo più convincente all’ambiente artistico delle in-fluenze iberiche nelle città di Napoli e Milano governate dalla Spagna. Come cercheró di mostrare, i motivi presentati sui due rilievi non si basano su fonti emiliane ma piutto-sto su altre che fondono in modo molto evidente modalità iberiche e italiane.
Peraltro, nel condurre il primo censimento di entrambi i rilievi, Lewis ha osservato che una quantità di essi fu probabilmente fusa in Spagna (25).
L’occupazione spagnola di Napoli e Milano, dove i governatori partecipavano attiva-mente alla vita culturale di quelle città (26) e dove, per esempio, il commercio tra la Ca-talogna e la cittá partenopea era particolarmente sviluppato (27), produsse un linguaggio visivo in cui convergevano influenze iberiche e italiane. A Napoli, il centro di quella influenza è evidente nei progetti in corso presso la “Santissima Annunziata Maggiore” (fig. 03) mentre a Milano la osserviamo in certe caratteristiche del Duomo così come nel commercio di armi (fig. 04) che [le botteghe di quella cittá] frequentemente esporta-vano verso acquirentii asburgici e verso altre corti europee (28).
Il linguaggio visivo di questa interazione culturale è più evidente nell’impatto che ebbe sugli artisti pendolari tra la Spagna e le suddette città e che caddero sotto l’incantesimo indelebile dell’influenza generale in Italia di Michelangelo così come di Donatello, Raf-faello e Leonardo. Vale la pena notare il commento di Adalbert von Lanna (o del suo ca-talogatore) circa l’influenza di Michelangelo sul rilievo del “Compianto” (29) in partico-lare, osserviamo un servitore rappresentato in quel rilievo che si afferra il viso, prendendo spunto dal “Geremia” di Michelangelo negli affreschi della Cappella Sistina (fig. 05).
Per quanto riguarda la scultura, un primo esempio di fusione iberico-italiana si osserva nel lavoro di Diego de Silóe (il cui padre aveva lavorato in Italia) e soprattutto di Barto-lomé Ordóñez, entrambi nativi di Burgos che viaggiarono in Italia e si stabilirono a Na-poli.
Un sorprendente parallelismo con il rilievo del “Compianto” è evidenziato dal pannello devozionale in noce (fig. 06) intagliato con la tecnica dello stiacciato sperimentata da Donatello, riscontrato per primo da Riccardo Naldi (30). Il pannello fu forse realizzato per contribuire a ottenere la commessa per la ralizzazione degli stalli del coro della Cat-tedrale di Barcellona dove quel motivo è nuovamente ripreso (fig. 07). La raffigurazione di Cristo discende da Firenze dove si presume che Ordóñez sia stato attivo, ispirato dalla 4
“Deposizione” dei pulpiti di San Lorenzo di Donatello o dal dipinto di Fra Bartolomeo con analogo soggetto.
L’influenza incrociata del disegno è di nuovo evidente tra Barcellona e Napoli attraverso la sua ricorrenza in una “Deposizione” in marmo che Ordóñez realizzó per la Tomba di Bonifacio nella Chiesa dei Santi Severino e Sossio e in altre opere come un rilievo sull’altare della Cappella Vicariis del Duomo di Salerno: si pensa che questo sia stato e-seguito da uno scultore napoletano sconosciuto durante gli anni 1520-30 (fig. 08). La “Deposizione” in marmo di Ordóñez presenta temi evidenti in entrambi i rilievi della “A-dorazione” e del “Compianto”: in particolare si notino il volto della Vergine in lutto sulla sinistra, la configurazione del Cristo deposto e la figura inclinata verso l’interno sulla de-stra, la cui schiena e il drappeggio sono impliciti nella figura più a destra della “Adora-zione” (fig. 09).
Un’influenza precoce sul rilievo dell’“Adorazione” si nota di nuovo nel pannello di marmo dello stesso soggetto che Ordóñez realizzò per la cappella di Caracciolo di Vico nella chie-sa di San Giovanni a Carbonara a Napoli: qui, la figura accovacciata nell’angolo in basso a sinistra è frutto di quella influenza, anche se “prende in prestito” la testa girata dell’assis-tente più a destra del rilievo di marmo. Un portico, coronato da più cornici, potrebbero pre-figurare la “Adorazione” del 1561, insieme al muro di mattoni visibile alla destra del rilie-vo (figg. 09 e 10).
L’essenza dello stile iberico-italiano è rappresentata a Napoli da altri scultori come Gio-vanni da Nola, la cui tomba per Ramón de Cardona (realizzata nel 1522-25) fu traspor-tata frammentariamente da Napoli alla Chiesa di Bellpuig a Lleida, in Spagna o dai membri della sua cerchia responsabili di opere come un’“Annunciazione della Vergine alla SS. Annunziata” (fig. 11) (31) e, più in generale, dall’influenza di Alonso Berrugue-te la cui adozione di questi motivi può suggerire un possibile passaggio attraverso Na-poli, come è stato spesso ipotizzato (32).
Certamente, altre influenze appaiono nell’opera degli allievi e collaboratori di Alonso (33), in particolare Francisco Giralte, allievo di Berruguete tra il 1532-35 e poi capo scultore nella sua bottega tra il 1539-42, aiutando ad eseguire gli stalli lignei del coro della Cattedrale di Toledo (34).
Lo stile di Giralte si distingue in modo esplicito da quello del suo maestro, essendo di un carattere piú temperato particolarmente adatto alla nostra coppia di rilievi che rap-presentano l’“Adorazione” e il “Compianto”. Il suo pannello che rappresenta “Giobbe sul monte Dunghill oltraggiato dalla moglie” (35) (fig. 12) mostra lo stesso modello di Cristo nel “Compianto” sostituito a Giobbe la cui fisionomia e postura sono infatti para-gonabili con quello, mentre il gesto di sua moglie ricorda i personaggi protesi verso l’interno raffigurati su entrambi i suddetti rilievi. Possiamo anche richiamare l’attenzione sulle idiosincrasie, specialmente dei panneggi, osservate in altri suoi pan-nelli dedicati al “Compianto” (Museo Nacional de Escultura, Valladolid), alla “Sacra Famiglia”, all’“Annunciazione” (fig. 13) e ad “Anna Selbdritt” (Mullany Fine Art) che riconducono a una simile essenza stilistica.
Di simile impostazione è un piccolo bassorilievo di Manuel Álvarez che rappresenta la “Sepoltura di Cristo”, scolpito in legno nel 1550-55 circa (36), chiaramente ispirato al rilievo di Ordóñez del soggetto con uno stile italiano debitore anche dell’influenza di Berruguete. Si può anche notare una corrispondenza superficiale tra la figura del Cristo 5
bambino dell’“Adorazione” e l’“Adorazione” in marmo di Álvarez al Museo Marés di Barcellona (fig. 14).
Come Giralte, Álvarez fu giovane assistente di Berruguete, impiegato anche durante la realizzazione degli stalli del coro della Cattedrale di Toledo. La sua vicinanza artistica a Giralte è testimoniata anche dal suo successivo matrimonio con la sorella di Giralte.
La continua presenza di questi motivi tra l’Italia e la Spagna, fino agli anni 1550, è un evidente catalizzatore della loro comparsa sui nostri due rilievi presumibilmente realiz-zati nel 1561. Mentre è improbabile che Giralte abbia personalmente modellato le plac-che a bassorilievo del “Compianto” e dell’“Adorazione” (37) egli potrebbe aver avuto una certa influenza o potrebbe essere stato responsabile di qualche fase della loro con-cezione. Sebbene sia principalmente conosciuto come scultore, egli fu anche disegnato-re, anche se suoi disegni non sono stati ancora identificati (38). Documenti relativi alla causa contro il suo scultore rivale, Juan de Juni, fanno ripetutamente riferimento ai suoi numerosi disegni per pittori, scultori e argentieri (39) collegandolo così come possibile candidato nell’aver fornito disegni da “trasferire” in metallo. I documenti collocano Gi-ralte a Madrid durante il 1561 (40), l’anno in cui Filippo II vi stabilì permanentemente la sua corte: in quel periodo, la circostanza deve aver favorito la diffusione di idee e di-segni nei territori detenuti dalla Spagna attraverso il Mediterraneo.
Le dimensioni dell’“Adorazione” e del “Compianto” suggeriscono un possibile uso su tabernacoli o altari domestici. Notevole è la sottigliezza del loro rilievo la cui modesta altezza contiene composizioni forti mentre la notevole raffinatezza della superficie ag-giunge virtuosismo al loro carattere piuttosto che una delicatezza di modellazione. Que-sti oggetti sono particolarmente evidenti nelle diverse versioni del rilievo, fuse in modo nitido e notevolmente ornate, che presentano un’argentatura parziale per i toni della carne o l’aggiunta di piccole borchie d’argento per arricchire il disegno dei tessuti o le caratteristiche architettoniche. La scala unica di queste placche, insieme al tipo di rilievo e alla ornamentazione, colloca la loro esecuzione esclusivamente presso agli armaioli in acciaio e ferro della Milano occupata dagli spagnoli, la cui produzione di rilievi è un tema molto poco studiato nella categoria delle placchette.
Mentre i gruppi figurativi primari presenti sui rilievi hanno un’evidente origine iberico-italiana, i loro sfondi sono certamente del tipo osservato nella produzione di armature a Milano durante il terzo quarto del XVI secolo. Gli impressionanti e complessi motivi presenti sui drappeggi dei protagonisti non solo imitano la tradizione estofado (40bis) della Spagna ma incorporano anche esotici motivi moreschi usati dagli orafi e dai dama-schinatori attivi nella produzione milanese di armi. In particolare, possiamo osservare l’applicazione [secondo quel procedimento] di piccole borchie d’argento come quelle presenti su una lancia da caccia riccamente ornata destinata all’arciduca Ferdinando II e prodotta da Giovanni Battista Panzeri nel 1560 (fig. 15) (41).
Lo stile e la scarsa profondità delle placche dell’“Adorazione” e del “Compianto” sono anche congruenti con i rilievi in acciaio e ferro sbalzati e accuratamente martellati in repoussé dai maestri armaioli milanesi, suggerendo che i modelli originali di quei rilievi fossero probabilmente stampi in acciaio piuttosto che calchi in gesso derivati da modelli in cera o argilla. Tuttavia, la loro probabile origine in un’officina d’armi milanese (dove si riunivano orafi, fonditori, damaschinatori e altri artigiani specializzati), li identifica ancora come una produzione “eccentrica” rispetto a quella preminente di scudi, spade, armature e scene di mitologia e gesta eroiche di Marco Curzio. Questa ultima conside-6
razione potrebbe forse chiarire il motivo per cui Milano sia stata trascurata come possi-bile luogo di origine di quei rilievi pendant che raffigurano la nascita e la morte di Cri-sto.
A restringere la loro origine sono due botteghe milanesi specializzate in armature che, uniche, sono note per aver prodotto e commercializzato oggetti al di là di quelli caratte-ristici dell’industria delle armi, come scrivanie in acciaio damascato, armadi e altri vari oggetti di lusso e, più raramente, oggetti di natura devozionale, come paci e altari da vi-aggio (42). Queste due botteghe furono rispettivamente gestite da Panzeri, come già det-to, e da Giovanni Antonio Polacini (43).
Mentre della produzione e dello stile di Panzeri si sa molto di più, il lavoro superstite di Polacini è poco conosciuto. Polacini, chiamato anche Romerio o Romè, si formò in gio-vane età sotto la guida di Giovan Ambrogio Vimodrone tra il 1540-44, educato nell’“arte di adornare armature e spade” (44). Nel 1545 Polacini assunse il damaschina-tore Marco Antonio Fava, che avrebbe servito a intermittenza sia Panzeri che Polacini durante la loro attivitá (45).
L’unica opera che si sa con certezza essere opera di Polacini-Fava sono tre grandi rilievi in rilievo per un tabernacolo raffiguranti scene dell’“Ultima Cena”, della “Cena in Em-maus” e del “Miracolo dell’Eucarestia” (che, secondo la leggenda, avvenne nella chiesa parrocchiale di Sant’Osvaldo a Seefeld in Austria) (fig. 16). Il tabernacolo per quella chiesa fu commissionato dall’arciduca Ferdinando II del Tirolo al prezzo di 2000 fiorini, pagati nel 1576 (46). Nel 1862, i rilievi si trovavano ancora nella chiesa ma il tabernacolo deve essere stato smontato e alcune parti sono state disperse; in un primo momento è sta-
to riferito che si trattava delle opere di un fabbro di Innsbruck e poi esse sono entrate nel mercato dell’antiquariato e la loro collocazione è rimasta finora sconosciuta (47).
Specifiche “idiosincrasie” osservate su questi tre rilievi possono suggerire una relazione con i rilievi dell’“Adorazione e del “Compianto”. La prima è la loro apparente dipen-denza da modelli (in questo caso di Guadenzio Ferrari di Milano), come notato da Silvio Leydi (48). La dipendenza di Polacini dai modelli è documentata anche nella prepara-zione di un tavolo realizzato per il Duca d’Alba nel 1559, con rilievi ovali contenenti motivi e figure forniti da Leone Leoni (49). La portata della bottega di Polacini è anche dimostrata dal suo impiego di emissari per facilitare i suoi affari in varie corti d’Europa, come l’assunzione di Battista de Angelis a Vienna che, durante i primi anni 1560, gestì i suoi affari lí intrapresi con gli Asburgo (50).
Tuttavia, sono le qualità più fini e distintive dell’abilità di Polacini come incisore e gof-fratore di acciaio che collegano in modo più credibile i rilievi dell’“Adorazione” e del “Compianto” con quelli destinati a Seefeld. Di primo piano sono i disegni stravaganti e diversamente giustapposti dei suoi drappeggi e gli sfondi, che conferiscono una qualche vibrazione alle composizioni. Anche la modellazione dei volti dei personaggi può essere messa in relazione con le orbite degli occhi resi lisci e racchiusi da palpebre a mandorla.
I capelli, le barbe e i baffi sono bilanciati con brevi tratti ondulati, profondamente incisi nella superficie del rilievo per delinearne la trama. Il padiglione delle orecchie è model-lato più spesso di quello naturale e le mani presentano postura ed eleganza comparabili (fig. 17). Il cane situato alla base dell’“Ultima Cena” riecheggia la pecora tenuta da uno dei personaggi che partecipano all’“Adorazione”.
Un particolare parallelo si osserva nella preferenza stilistica per la resa delle nuvole, mentre le forme architettoniche abbozzate sullo sfondo sono piuttosto comparabili; in 7
particolare, la cupola insolitamente fantasiosa al centro del pannello della “Ultima Ce-na” fa eco a quella presente nell’“Adorazione”, probabilmente ispirata dai pannelli in legno dorato della SS. Annunziata a Napoli, eseguiti negli anni 1550 (fig. 18) (51). Più specificamente, l’insolito globo posto in cima alla sua guglia compare di nuovo sullo sfondo di un edificio lungo il lato sinistro dell’“Adorazione”; si tratta di una caratteristi-ca peculiare che si osserva raramente in altre architetture rappresentate nei rilievi di produzione milanese. Infine, l’importanza generale attribuita all’architettura nei suoi rilievi è da equiparare a quella dell’“Adorazione”.
Nonostante le corrispondenze tra i rilievi di Seefeld e il pendant costituito dalla “Adora-zione” e dal “Compianto” sussiste comunque l’eventualitá che altri artigiani artisti siano stati coinvolti come mercenari nella bottega di Polacini come, ad esempio, Giovan An-tonio Appiani (che Fava aveva autonomamente assunto nel 1561 come sbalzatore di ri-lievi) (52), per poi unirsi a Fava accanto a Polacini nel 1563 (53).
L’iscrizione PARM INVENT (che, nonostante tutte le corrispondenze tracciate in que-sto articolo, non fornisce ancora una spiegazione sicura del suo significato) rimane an-cora piuttosto misteriosa anche se il suo inserimento nella scena ricorda l’abitudine de-gli armaioli di nascondere firme e date nel loro lavoro.
Né si conosce un motivo per la sua creazione, sebbene l’influenza del controriformista Carlo Borromeo di Milano e la presenza di un papa milanese nel 1561 possano suggeri-re un’atmosfera di mecenatismo legata ai suddetti rilievi (54).
La continua trasfuzione di idee tra la Spagna e i suoi territori periferici in Italia spiega anche una immediata diffusione di questi rilievi milanesi in Spagna. Lewis suggerisce che esemplari del rilievo con l’iscrizione GLORIA IN EXCELSIS DEO fossero proba-bilmente un prodotto delle fonderie spagnole durante gli anni 1580 (55). Certamente, nel 1570 l’“Adorazione” è già presente in una sua riproduzione sull’altare maggiore del-la chiesa parrocchiale di Urroz in Navarra, eseguita da Miguel de Espinal (fig. 19) (56).
Occorre ricordare, infine, una versione molto più tarda dell’“Adorazione”, conosciuta attraverso esemplari in argento stampato con un bordo aggiunto di perline e losanghe e talvolta con una facciata di mattoni, di altezza variabile, lungo il registro inferiore. Que-ste versioni erano più frequentemente montate su un supporto di legno, ma alcuni esem-plari sono stati preparati in silhouette per essere montati su pietre preziose. A causa del carattere moderno di questi esempi, Avery aveva suggerito dubitativemente che l’intera produzione di rilievi dell’“Adorazione” fosse il pastiche di un falsario di fine Ottocento e inizio Novecento, un certo Luigi Francesco Parmeggiani (57); tuttavia, questa teoria è stata successivamente da lui stesso ridimensionata mentre altri hanno evidenziato origi-ni chiaramente precedenti. Per esempio, Lewis nota un esemplare in argento stampato conservato al Museo Civico di Brescia che fu consegnato nel 1828 da Gabriele Scovoli mentre un altro esemplare nello stesso museo reca sul retro la data del 1804. Lewis nota anche un esemplare al Castello Sforzesco il cui supporto in legno mostra la data del 1792 (58). Infine, Attilio Troncavini, che per primo ha contestato l’ipotesi di Avery, ha segnalato un tabernacolo nella Chiesa di Santa Maria del Carmine a Milano, con un e-semplare del rilievo in argento stampato, datato 1808 (59).8
Note.
1.
Sono state identificate copie in bronzo, piombo, argento martellato, legno, avorio, mar-mo, pelle stampata e cartapesta, così come copie moderne dipinte (database privato di esempi). 2.
La maggior parte degli esemplari sono fusi in bronzo, fin dall’inizio e nel corso dei se-coli. Sono state prodotte delle “galvano” ed elettrotipi moderni mentre una quantità di esemplari in argento repoussé della fine del XVIII secolo e dell’inizio del XIX è stata prodotta per essere montata su supporti di legno o fusi in silhouette per essere applicati su pietra o altri supporti. 3.
Asta Finarte, 4 giugno 1997, lotto 19. 4.
Asta Sotheby’s, 12 gennaio 1991, lotto 67. 5.
Asta Sotheby’s, 8 dicembre 1994, lotto 65A. 6.
Museo Lázaro-Galdiano, inv. 427; e un altro che si trovava nella collezione di Kahlil Gibran, datato 1587 ma rozzamente reinciso per mostrare l’anno 1787, discusso il 26 novembre 1993 tramite corrispondenza con la National Gallery of Art, DC. (NGA cura-torial files). 7.
Vendita della Galérie Georges Petit della collezione Barthélemy Rey, 3 giugno 1905, lotto 175. 8.
Museo AD&A, inv. 1964.535 (già presso la collezione Sigmund Morgenroth e, prima di lui, presso il mercante Antonio Pini, Italia). 9.
Musei Civici d’Arte Antica, Ferrara, Inv. 8755. Vedi Charles Avery (2016): “Joseph de
Levis & Company. Renaissance Bronze-founders in Verona”, London, no. 44, pp. 92-
93, 134-35.
10.
Prospero Rizzini (1889): “Illustrazione dei civici musei di Brescia: Parte 2”, Apollonio, Brescia, n. 153, p. 57. 11.
Andrea Moschetti (1938): “Il Museo Civico di Padova: Cenni storici e illustrativi”, Pa-dova, pp. 230-31. 12.
Vedi per esempio Ulrich Middeldorf (1944): “Medaglie e placchette della collezione Sigmund Morgenroth.Donnelley & Sons Co.”, Chicago, IL., no. 342, p. 48 e John Gra-ham Pollard (1970): “Bozagni, Gian Federico”, DBI 12, pp. 480-81. 13.
Questa idea è stata posta per la prima volta nella vendita della collezione Maurice Fau-re. Vedi asta Leo Hamburger, Francoforte, 22-23 settembre 1913, n. 665. 14.
Francesco Rossi (1974): “Placchette. Sec. XV-XIX”, Neri Pozza Editore, Vicenza, Italia, nn. 218-20, pp. 130-31.9
15.
Anthony Geber (1989): “Name Inscriptions: Solution or Problem? Studies in the Histo-ry of Art, Vol. 22. Italian Plaquettes”, National Gallery of Art, Washington DC., pp. 247-63.
16.
C. Avery (2016): op. cit. (nota 9). 17.
Doug Lewis (2017), n. 492, voce per NGA Inv. 1942.9.220 (manoscritto inedito, accesso agosto 2017, con i ringraziamenti a Anne Halpern, Department of Curatorial
Records and Files): “Systematic Catalogue of the Collections, Renaissance Plaquettes.
National Gallery of Art, Washington DC”.
Amministratori della Galleria Nazionale d’Arte. Per una discussione su una pace del “Compianto”, donata da papa Pio IX al Duomo di Milano e la sua associazione con Bonzagna, si veda Luca Beltrami (1897): “L’arte negli arredi sacri della Lombardia” Milan, pp. 39-40, pl. 43.
18.
Wilhelm von Bode (1897): “Die Sammlung Oscar Hainauer”, Berlino/Londra, p. 101. 19.
Ernst Bange (1922): “Die Bildwerke des Deutschen Museums. Die Bildwerke in Bronze und in anderen Metallen”, Walter de Gruyter & Co., Berlino, no. 42, p. 7. 20.
Max Bernhart (1926): “Die Plakettensammlung Alfred Walcher Ritter von Molthein, Wien: italienische, spanische, deutsche, niederländische, französische Arbeiten des 15. – 18. Jahrh”; Versteigerung in der Galerie Hugo Helbing, München, 17-18. Maggio 1926, n. 64, p. 8. 21.
Davide Banzato, Maria Beltramini e Davide Gasparotto (2000): “Placchette, bronzetti e cristalli incisi dei Musei Civici di Vicenza. Secoli XV-XVIII”, Colpo di Fulmine Editore, Verona. n. 87, p. 91; A. Geber (1989): op. cit. (nota 15); Eugenio Imbert (1941): “Le Placchette Italiane, secolo XV-XIX”, Edizioni Luigi Alfieri, Milano, n. 159, p. 62. 22.
Francesco Rossi ha ipotizzato una possibile connessione con il manierismo tusco-romano mentre James Draper ha notato la possibile influenza di pittori romani come Pe-rino del Vaga e Siciolante. Vedi rispettivamente Francesco Rossi (1985): “Rassegna della Placchetta Artistica dal XV al XVII secolo. 6° Triennale Italiana della Medaglia d’Arte 1984”, Milano, no. 17, pp. 173-74 e James David Draper (corrispondenza privata con Anthony Geber, prima del 1989). Rossi li ha più recentemente considerati parmensi o veneziani. Cfr. Francesco Rossi (2011): “La Collezione Mario Scaglia – Placchette”, volumi, I-III. Lubrina Editore, Bergamo, nn. IX.16-17, pp. 377-81. 23.
D. Lewis (2017): op. cit. (nota 17). 24.
C. Avery (2016): op. cit. (nota 9). 25.
Lewis suggerisce che l’attività di Tibaldi in Spagna tra il 1586-96 potrebbe aver portato ai calchi datati più tardi realizzati in Spagna, che recano l’iscrizione alternata lungo il fregio: GLORIA IN EXCELSIS DEO. D. Lewis (2017): op. cit. (nota 17).10
26.
Kelley Helmstutler Di Dio e Tommaso Mozzati (a cura di) (2020): “Artistic Circulation
between Early Modern Spain and Italy”, Routledge, UK..
27.
Riccardo Naldi (2018): “Magnificenza di Marmo: Bartolomé Ordóñez e Diego de Silóe”, Hirmer editori, pp. 226-77. 28.
Silvio Leydi (1998): “Milano e l’industria delle armi nel XVI secolo. Armature eroiche del Rinascimento italiano. Filippo Negroli e i suoi contemporanei”,. Metropolitan Mu-seum of Art, NY, pp. 25-60. 29.
Asta Rudolph Lepke, Berlino, 21 marzo 1911, no. 332, p. 49. 30.
R. Naldi (2018): op. cit. (nota 27). 31.
Il linguaggio figurativo dei rilievi in legno colorato della sacrestia della SS. Annunziata e la tipologia della loro doratura mostrano un corollario tra i temi iberico-napoletani qui discussi e l’influenza dei damaschinatori milanesi il cui stile ornamentale si riflette chia-ramente sui rilievi dell’Annunziata. Sebbene la storia dei rilievi sia complessa, si pensa che molte delle opere appartengano a una mano iberica non identificata (responsabile delle sculture a tutto tondo di “Daniele”, “Ezechiele” e “Geremia”), informata sulle ope-re di Ordóñez ovvero sono state copiate dalle opere di questo artista.
In realtá, un simile scultore, attivo negli anni 1550 a Napoli e di origine iberica, può es-sere stato determinante nella condivisione dell’iconografia che ha portato allo sviluppo dei Rilievi dell’“Adorazione” e del “Compianto”. Tale tangenziali artisti iberici attivi a Napoli le cui opere rimangono non identificate comprendono Pietro della Plata, Luigi Muños, un maestro chiamato Domenico e altri. Vedi Letizia Gaeta (2015): “Ritorno all’Annunziata e alla Napoli dei viceré. Dalla parte di Geronimo D’Auria” in “Intaglia-tori incisori scultori sodalizi e società nella Napoli dei viceré – Ritorno all’Annunziata”, Università del Salento, pp. 34-37. 32.
Questa teoria è stata per la prima volta espressa da Francesco Abbate (1986): “Appunti su Bartolomé Ordóñez e Diego de Siloe a Napoli e in Spagna in Prospettiva”, no. 44, pp. 27-45 e approfondito da Letizia Gaeta (2000): “Le Sculture della Sagrestia dell’Annunziata a Napoli. Nuove presenze iberiche nella prima metà del Cinquecento”, Galatina e L. Gaeta (2015): op. cit. (nota 31) mentre Giancarlo Gentilini e Francesco Caglioti hanno postulato un’attribuzione del rilievo della cappella Teodori a Berruguete.
Cfr. Francesco Caglioti (2001): “Alonso Berruguete in Italia: un nuovo documento fio-rentino, una nuova fonte donatelliana, qualche ulteriore traccia, in Scritti di storia dell’arte in onore di Sylvie Béguin” (a cura di Mario Di Giampaolo ed Elisabetta Sac-comani), Paparo Edizioni, Napoli 2001, pp. 109-46. C.D.
Dickerson III ipotizza che, se Beruguete avesse visto le realizzazioni di Ordóñez alla Cattedrale di Barcellona, dove si trova il pannello del “Compianto” avrebbe conosciuto.
Vedi C.D. Dickerson (2018): “Return to Spain, Pintor del Rey, and Learning to Sculp-ture” in “Alonso Berruguete – First Sculptor of Renaissance Spain”, National Gallery of Art, DC., pp. 36-53.11
33.
Il dettaglio della caratteristica del volto di Cristo sul rilievo del “Compianto”, con i ca-pelli rimboccati dietro l’orecchio e la spalla e una ciocca che cade di fronte, è un motivo senza dubbio circolato nella bottega di Berrugeute. Vedi Mark McDonald (eds. C.D.
Dickerson III e Mark McDonald) (2019): “Becoming a Draftsman and the Primacy of Drawing” in “Alonso Berruguete – First Sculptor of Renaissance Spain”, National Gal-lery of Art, DC, p. 83. 34.
Giralte è ritenuto uno degli oficiales o scultori principali per gli stalli del coro della Cat-tedrale di Toledo. Vedi Wendy Sepponen (eds. C.D. Dickerson III e Mark McDonald) (2019): “Transforming the Choir of Toledo Cathedral in Alonso Berruguete – Primo scultore del Rinascimento Spagna”, National Gallery of Art, DC, p. 155. 35.
Museo Nazionale di Scultura, Valladolid, Inv. CE0434. Precedentemente situato presso il Convento dei Trinitarias de San Bartolomé di Valladolid. 36.
Jesús María Parrado del Olmo (a cura di Carlos Herrero Starkie) (2019): “Tesori della scultura rinascimentale spagnola. L’origine della Maniera spagnola”, Istituto di Ricer-ca sugli Antichi Maestri. 37.
Mentre non è noto che Giralte avvia lavorato in metallo, Wendy Sepponen suggerisce che potrebbe aver fornito modelli, a tutto tondo, per le figure in bronzo dorato che ador-nano i pulpiti che fiancheggiano la cappella maggiore della cattedrale di Toledo, esegui-ti da Francisco Villapando. Vedi W. Sepponen (2019): op. cit. (nota 34). 38.
M. McDonald (2019): op. cit. (nota 33). 39.
M. McDonald (2019): op. cit. (nota 33). Vedi anche José Martí y Monsó (1898-1901): “Estudios histórico-artísticos relativos principalmente a Valladolid: basados en la inve-stigación de diversos archivos”, Leonardo Miñón, Valladolid-Madrid, pp. 331-34. 40.
I documenti giudiziari mostrano la presenza di Giralte a Madrid in questo anno, conte-stando le sue proprietà ereditate con la dote della moglie avuta dal suo primo marito.
Vedi J. Martí y Monsó (1898-1901): op. cit. (nota 39), p. 388. [40bis.
Consiste in una particolare tecnica decorativa per la realizzazione di immagini sacre su legno policromato, in cui la superficie intagliata viene ricoperta da uno strato di foglia d’oro zecchino su cui è applicato uno strato di bolo d’argilla che poteva avere dei colori dal rosso aranciato fino al marrone cupo]. 41.
Kunsthistorisches Museum, Inv. A752. 42.
Silvio Leydi (2016): “Mobili milanesi in acciaio e metalli preziosi nell’età del Manierismo.
Fatto in Italia. Dal Medioevo al Made in Italy”, Silvana Editoriale, Torino, pp. 121-37. 43.
S. Leydi (2016): op. cit. (nota 42). 44.
S. Leydi (2016): op. cit. (nota 42), cfr. nota 3.12
45.
Le trattative per l’assunzione a contratto di Fava con Polacini iniziano dal 29 luglio 1545. Cfr. S. Leydi (2016): op. cit. (nota 42), cfr. nota 17. 46.
Silvio Leydi (2019): “Due altaroli gemelli in acciaio del secondo cinquecento milane-se”’ Nuovi Studi, n. 24, pp. 79-91. 47.
S. Leydi (2019): op. cit. (nota 46), cfr. nota 26. 48.
S. Leydi (2019): op. cit. (nota 46). 49.
La trattativa relativo alla tavola è datato 18 ottobre 1559. Pare che, come riferimento, sia stato inviato anche un pomo di spada disegnato da Leoni. Cfr. S. Leydi (2016): op. cit. (nota 42), cfr. nota 5 e S. Leydi (2019): op. cit. (nota 46), cfr. nota 23. 50.
La collaborazione di Battista de Angelis fu prolungata di un altro anno il 29 aprile 1561.
Cfr. S. Leydi (2016): op. cit. (nota 42), vedi nota 40. 51.
Si veda la nostra nota 31. 52.
S. Leydi (2016): op. cit. (nota 42), vedi nota 39 e anche Silvio Leydi (1998): “Giovan Battista Panzeri, detto Zarabaglia, intagliatore in ferro e soci”, Nuovi Studi, n. 6, p. 39 e note 53-54. 53.
Il contratto per l’assunzione di Appiani allo studio di Polacini è documentato 30 giugno 1563. Cfr. S. Leydi (2016): op. cit. (nota 42), vedi nota 39 e anche S. Leydi (1998): op. cit. (nota 52). 54.
Lewis identificó per primo il Borromeo come possibile committente dei rilievi, sugge-rendo che la sua popolarità e la sua influenza potrebbero anche aver contribuito a pro-mulgare la loro popolarità. Si veda D. Lewis (2017): op. cit. (nota 17). 55.
D. Lewis (2017): op. cit. (nota 17). 56.
I pannelli in rilievo furono poi policromati nel 1632 da Pedro de Landa. Vedi Gran En-ciclopedia de Navarra (enciclopedianavarra.com) accesso, marzo 2020. La presenza del motivo dell’“Adorazione” in Urroz fu osservata per la prima volta da Priscilla Muller (1972): “L’età dell’oro della Spagna in argento”, Apollo Magazine, 95:122, aprile 1972, p. 271. 57.
Charles Avery (1998): “La Spezia. Museo Civico Amedeo Lia. Sculture, Bronzi, Targhe, Medaglie”, CR La Spezia Fondazione, n. 210, p. 290. 58.
D. Lewis (2017): op. cit. (nota 17). 59.
Attilio Troncavini (2010): “Placchetta cinquecentesca o falso di fine Ottocento?”’ http://www.antiqua.mi.it. Accesso marzo 2020.13
Didascalie.
Fig. 01. “Adorazione dei pastori”, qui attribuita alla bottega o alla cerchia di Giovan Antonio Polacini (?), 1561, Milano, Italia, bronzo dorato con applicazioni in argento (Walters Art Museum, Inv. 54.229).
Fig. 02. “Lamento”, qui attribuito alla bottega o alla cerchia di Giovan Antonio Polacini (?), 1561 circa, Milano, Italia, bronzo parzialmente dorato con applicazioni in argento (De-troit Institute of Arts, Inv. 24.77).
Fig. 03. “Cristo che guarisce il cieco vicino a Gerico”, cerchio di Giovanni da Nola, legno colo-rato parzialmente dorato (Sacrestia della Santissima Annunziata Maggiore, Napoli).
Fig. 04.
Scudo da parata, anonimo, 1550-59 circa, Milano, Italia, acciaio damascato in argento e oro; Wallace Collection, UK, Inv. A325.
Fig. 05.
Dettaglio di un “Compianto”, qui attribuito alla bottega o alla cerchia di Giovan Anto-nio Polacini (?), 1561 circa, Milano, Italia (Detroit Institute of Arts) (sinistra); dettaglio di “Geremia” di Michelangelo Buonarroti, 1508-12 circa, Cappella Sistina, Roma (de-stra).
Fig. 06. “Lamento di Cristo” di Bartolomé Ordóñez, 1518-19 circa, Barcellona, Spagna, noce (collezione privata).
Fig. 07. “Deposizione di Cristo” di Bartolomé Ordóñez, 1518-19 circa, legno (stalli del coro del-la Cattedrale di Barcellona).
Fig. 08. “Deposizione” di Bartolomé Ordóñez, marmo (Tomba di Bonifacio nella Chiesa dei Santi Severino e Sossio, Napoli) (in alto); “Compianto”, scultore napoletano anonimo, anni 1520-30 circa (altare della cappella Vicariis del Duomo di Salerno, Italia) (in basso).
Fig. 09.
Dettaglio di una “Deposizione” di Bartolomé Ordóñez (Tomba di Bonifacio, Napoli) (in alto a sinistra); dettaglio di un’“Adorazione” di Bartolomé Ordóñez, marmo (Chiesa di San Giovanni a Carbonara, Napoli) (in basso a sinistra); dettagli di un “Lamento e Ado-razione” in bronzo (a destra).
Fig. 10. “Adorazione” di Bartolomé Ordóñez, marmo (Cappella di Caracciolo di Vico nella chiesa di San Giovanni a Carbonara, Napoli).
Fig. 11.
Dettaglio dell’“Adorazione”, qui attribuito alla bottega o cerchio di Giovan Antonio Po-lacini (?), 1561, Milano, Italia, bronzo dorato con applicazioni in argento; Walters Art Museum, Inv. 54.229 (sinistra); “Annunciazione della Vergine”, cerchio di Giovanni da Nola, legno colorato parzialmente dorato (Sacrestia della Santissima Annunziata Mag-giore, Napoli) (destra).
Fig. 12. “Giobbe sul letamaio oltraggiato dalla moglie”, attribuito a Francisco Giralte, circa 1550, legno (Museo Nacional de Escultura, Valladolid).14
Fig. 13. “Adorazione e lamento”, qui attribuita alla bottega o alla cerchia di Giovan Antonio Po-lacini (?), ca. 1561, bronzo, Milano, Italia (sinistra); “Annunciazione” e “Sacra Fami-glia”, attribuite a Francisco Giralte, ca. 1550, legno (Museo Nacional de Escultura, Val-ladolid) (destra).
Fig. 14. “Sepoltura di Cristo” attribuita a Manuel Álvarez, 1550-55 circa, pannello di legno (collezione privata) (in alto); dettaglio dell’“Adorazione” di Manuel Álvarez, marmo (Museo Marés, Barcellona) (in basso a sinistra); dettaglio dell’“Adorazione”, Milano, 1561, bronzo (Walters Art Museum) (in basso a destra).
Fig. 15.
Dettaglio di una punta di lancia damascata con applicazioni in argento di Giovan Batti-sta Panzeri, 1560 (Kunsthistorisches Museum) (in alto); dettaglio di un’“Adorazione”.
Fig. 16.
Rilievi in acciaio damascato dell’“Ultima Cena”, “Miracolo dell’Eucarestia” e “Cena in Emmaus” di Giovan Antonio Polacini e Marco Antonio Fava, 1576.
Fig. 17.
Dettagli dell’“Adorazione”, qui attribuita alla cerchia o alla bottega di Giovan Antonio Polacini (?), Milano, 1561, bronzo (Walters Art Museum) (sinistra); dettagli dai rilievi del tabernacolo di Seefeld di Giovan Antonio Polacini e Marco Antonio Fava, 1576 (de-stra).
Fig. 18.
Particolare di una tavola di “Cristo che guarisce”, cerchia di Giovanni da Nola, legno colorato parzialmente dorato (Sacrestia della Santissima Annunziata Maggiore, Napoli) (a sinistra); particolare dell’“Adorazione”, qui attribuita alla cerchia o alla bottega di Giovan Antonio Polacini (? ), Milano, 1561, bronzo (Walters Art Museum) (secondo da sinistra; destra); dettaglio del rilievo dell’“Ultima Cena” del tabernacolo di Seefeld di Giovan Antonio Polacini e Marco Antonio Fava, 1576 (secondo da destra).
Fig. 19.
Pannello di legno dell’“Adorazione” di Miguel de Espinal, 1570 circa, altare maggiore della chiesa parrocchiale di Urroz in Navarra.

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